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di Francesco Tropeano
Come ben sappiamo le guerre non “scoppiano” da sole, improvvisamente, come un accidente naturale, c’è, purtroppo, qualcuno che le dichiara ed addirittura qualcuno che le prepara. Naturalmente, tutti sanno che le guerre portano distruzione e morte, ma non tutti vogliono sapere che con le guerre c’è chi guadagna somme impressionanti. Il 10 giugno del 1940, nell’anniversario dell’omicidio Matteotti, dal balcone di Piazza Venezia, con le celebri parole ai “Combattenti di terra, di mare, dell’aria“, il Duce annuncia l’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale. Mussolini era realmente convinto che la Germania nazista avrebbe vinto la guerra in breve tempo. Su queste basi, e su una sopravvalutazione drammatica delle forze armate italiane, trascinò il paese in una tragedia infinita che, di fatto, segnerà l’inizio della fine del suo regime.
Il pasticcio dell’otto settembre – Il Duce sogna di promuovere la sua guerra parallela per impadronirsi del Mediterraneo e dei Balcani. Ma già nello stesso 1940 è sconfitto in Africa, in Grecia e nel Mediterraneo. Una disfatta dietro l’altra fino all’estate del ‘ 43, con l’invasione degli angloamericani del suolo italiano. A Cinquefrondi l’arrivo delle truppe angloamericane ed il breve periodo di occupazione militare alleata aveva dato l’illusione che la guerra fosse finita. Invece si trascinerà sanguinosamente per altri due anni. Alla gioia iniziale si andava sostituendo l’angoscia di moltissime famiglie che avevano i propri cari ancora impegnati nei fronti di guerra o dispersi tra i mille rivoli della “rotta” seguita all’8 settembre, quando i nostri reparti dell’esercito si trovarono allo sbando da un momento all’altro, senza indicazioni né direttive. La cosiddetta fuga del Re e soprattutto di tutto lo Stato Maggiore, secondo alcuni concordata (e scortata) dall’esercito tedesco in cambio di qualche tonnellata d’oro della Banca d’Italia, aveva provocato il caos nelle nostre truppe e centinaia di migliaia di soldati si trovarono, in poche ore, completamente abbandonati a se stessi ed in balia dell’esercito germanico. Mio padre aveva 19 anni ed era di stanza tra Napoli e Caserta. Ci impiegò 35 giorni per tornare a casa, a piedi, percorrendo mulattiere e valichi di montagna per non essere preso dai tedeschi. Arrivò in condizioni fisiche disperate e le sue condizioni di salute ne risentiranno per tutta la vita. Ma ci furono tanti militari molto più sfortunati. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 cinque soldati vennero fucilati alle spalle davanti al cimitero di Acquappesa sul Tirreno cosentino. Erano tutti calabresi e poco più che trentenni: Michele Burelli e Francesco Trimarchi da Cinquefrondi; Saverio Forgione da Sinopoli, Salvatore Di Giorgio da Cittanova e Francesco Rovere da Polistena (ne abbiamo già scritto qui https://www.cinquefrondineltempo.it/8-settembre-1943-due-soldati-cinquefrondesi-fucilati-mentre-ritornano-a-casa-credendo-finita-la-guerra/ )
Centinaia di famiglie cinquefrondesi , dovranno aspettare la fine reale della guerra per veder tornare a casa i propri cari, sopravvissuti, ma prigionieri nei lager nazisti. Nell’ estate del 1945 i primi cinquanta rientrarono in paese dai luoghi di internamento.
L’operazione ASSE – Alle ore 18.30 dell’8 settembre 1943 il generale Eisenhower, trasmise un comunicato del quale dava notizia che il governo Italiano aveva chiesto la resa incondizionata dell’Esercito Italiano, e Unione Sovietica, Gran Bretagna e Stati Uniti avevano concesso l’armistizio. Alle 19.42 viene letto un comunicato , dai microfoni dell’EIAR (la Rai di allora), da parte del Capo del Governo, maresciallo d’Italia Pietro Badoglio : “Il Governo Italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto l’armistizio al Generale Eisenhower Comandante in Capo delle Forze Alleate anglo-americane. La richiesta è stata accettata. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le Forze anglo-americane deve cessare da parte delle Forze Italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi provenienza”.
Lo stesso giorno alle ore 20.30 il generale Rommel, comandante tedesco ordinò tramite la parola d’ordine “Achse” in Italiano “Asse”, l’avvio di un piano di aggressione di quel che rimaneva del nostro esercito. Il piano prevedeva il disarmo immediato dei soldati e ufficiali italiani, la loro cattura e l’internamento; coloro che dichiaravano di essere disponibili a continuare a combattere al fianco delle unità germaniche non venivano internati. La netta maggioranza rispose “NO”; da allora iniziò il loro calvario. In quelle ore migliaia di soldati Italiani vennero fatti prigionieri dall’esercito tedesco su tutti i fronti di guerra in Italia, Francia, nei Balcani, e trasportati nei Lager. Di essi, oltre 650.000 furono trasferiti in campi di prigionia situati nel Terzo Reich, oppure nei territori polacchi occupati dalla Germania. Di questi circa 60 mila non fecero più ritorno in patria, uccisi dalle malattie, dalle sevizie, dalla denutrizione o dalle armi dei carcerieri.
L’ordine di Hitler datato 15 settembre 1943 era stato perentorio: “I soldati italiani che non siano disposti a continuare la lotta a fianco dei tedeschi devono essere disarmati e considerati prigionieri di guerra. Chi non è con noi è contro di noi”. Gli Ufficiali vennero separati dai sottoufficiali e dalla truppa ed internati in Lager diversi. La diversa nomenclatura non serviva ad indicare sedi diverse, ma tipologie di trattamento diverse, quindi in uno stesso campo troviamo sia uno stalag che un offlag, a seconda che i prigionieri fossero soldati oppure ufficiali. Ma già il 20 settembre Hitler declassò i soldati italiani, da prigionieri di guerra ad “internati militari”( IMI – Italienische Militär-Internierten) , status che non vincolava i tedeschi a rispettare, nei confronti degli italiani deportati, le garanzie stabilite dalla Convenzione di Ginevra del 1929, che per i prigionieri prevedevano, per esempio, trattamento umanitario ed adeguata assistenza sanitaria, ispezioni ai campi di internamento della Croce Rossa internazionale e costanti contatti con le famiglie.
In tal modo i tedeschi si ritennero liberi di “usare” gli internati militari italiani a loro piacimento e li avviarono conseguentemente al lavoro coatto nelle industrie, segnatamente in quelle di produzione bellica, ove avevano grandi esigenze di manodopera. La grande maggioranza degli internati fu avviata al lavoro coattivamente, con orari massacranti , in centri industriali obiettivo primario di bombardamenti aerei alleati, in condizioni di alimentazione e igienico sanitarie di pura sopravvivenza. Ogni internato veniva visitato diverse volte nell’infermeria del campo dove un medico divideva i prigionieri in base al loro stato di salute, chi a destra, chi a sinistra.
Ciò significava che se per disgrazia finiva sul lato sbagliato, il suo destino erano i forni crematori, perché non più idoneo ad essere sfruttato come forza lavoro! La maggior parte degli ufficiali (tra i quali 135 Generali ed Ammiragli), che non avevano aderito alla Repubblica di Salò, rimase per tutti i venti mesi dell’internamento nei Lager, in condizioni di vita tristissime sotto ogni profilo e psicologicamente devastanti. Appelli continui, improvvisi, di lunga durata, in condizioni atmosferiche indicibili, di giorno e di notte; pressioni, minacce, lusinghe ripetute costantemente per l’adesione alla Repubblica di Salò o all’arruolamento nelle formazioni militari delle SS. Le stesse pressioni e minacce vennero esercitate non solo sugli ufficiali ma su tutti i militari sin dai primi giorni dell’internamento.
I militari italiani non cedettero mai, in stragrande maggioranza ed opposero sempre il loro deciso no. Il NO che li trattenne prigionieri in Germania, e che molti pagarono con la vita, fu atto volontario e consapevole. Il NO è stato pronunciato da militari di ogni grado, arma e categoria, appartenenti a reparti diversi, catturati in territori e circostanze diversi, ristretti in Lager diversi, senza punti di riferimento, senza suggestioni o imposizioni gerarchiche, cittadini indigenti, benestanti, braccianti, contadini, impiegati, professionisti, intellettuali, analfabeti, cittadini di tutte le regioni d’Italia. Una testimonianza, forte, appassionata, della vita e delle sofferenze nei lager tedeschi ci viene dal padre di Fausto Cordiano, Michele: Una testimonianza raccolta nel volume Un uomo nel Lager : Ricordi del Kriegsgenfangenen 6880.
Sulla via di casa – Nel 1945, al termine della guerra, gli Alleati – Stati Uniti d’America, Gran Bretagna e Unione sovietica – liberarono più di 11 milioni di lavoratori coatti. Le potenze vincitrici li radunarono in campi di raccolta. Per gli italiani iniziò un periodo di attesa, perché gli Alleati preferirono dare la precedenza al rimpatrio di cittadini di altri paesi. Molti italiani ex internati militari, prigionieri liberati dai campi di concentramento e civili cercarono di tornare a casa per conto proprio. Il rimpatrio organizzato iniziò nell’estate del 1945. I reduci viaggiarono verso il Brennero su autocarri o in treno, passando per alcuni campi di transito. I vagoni si riempiono di scritte: «W l’Italia!», «W la Democrazia!», «W i liberatori!», «W Noi!», «W i maccheroni! »
“Centro di Raccolta e Smistamento Reduci”, dice un cartello. Il 28 giugno 1945 arriva alla stazione di Balconi, frazione di Pescantina, la prima tradotta militare, carica di ex internati. Giovani donne “gli angeli di Pescantina” organizzano l’accoglienza. I soldati con “le strasse ai piè” e le piaghe sotto in piedi, vengono lavati, curati e sfamati. Gli altoparlanti diffondono le note di Mamma son tanto felice, perché ritorno da te… Pescantina, era una fermata ferroviaria, ora fuori servizio, sulla linea Bolzano – Verona, comunemente nota come Stazione di Balconi. Pescantina è conosciuta perché, prospiciente la facciata esterna del fabbricato viaggiatori, sorge il Monumento agli ex internati, che commemora le tradotte che, tra il ’45 e il ’47, riportarono in Italia migliaia di internati militari, civili e lavoratori, sfuggiti alla morte nei lager.
Qui a fine giugno del 1945 il Comando Alleato e italiano istituirono un Nucleo di Assistenza e chiesero alla Croce Rossa Italiana infermieri per l’assistenza sanitaria e morale degli ex internati in transito. Ruolo fondamentale ebbe anche la Pontificia commissione di assistenza ai profughi (Pca) , costituita da monsignor Ferdinando Baldelli, su incarico di Pio XII, il 18 aprile 1944. Il campo di assistenza incominciò a funzionare dal 1º luglio 1945. Nel campo prestò aiuto un movimento volontario e gratuito in maggioranza femminile.
Dal campo transitò anche Primo Levi il 17 ottobre del 1945, come lui stesso racconta nell’ultimo capitolo del suo romanzo autobiografico La Tregua: “Il 17 di ottobre ci accolse il campo di Pescantina, presso Verona, e qui ci sciogliemmo, ognuno verso la sua sorte: ma solo alla sera del giorno seguente partì un treno in direzione di Torino.”
Giovannino Guareschi, il papà di Don Camillo e Peppone, fu uno dei 600mila internati militari italiani. Per i tedeschi era il numero di matricola 6865. Catturato il 9 settembre 1943 ad Alessandria, liberato il 16 aprile dagli alleati, tornò in Italia quasi due anni dopo, il 4 settembre 1945. Era tenente di complemento di Artiglieria pesante campale. E proprio Guareschi dichiarò di aver preso spunto per il suo personaggio Don Camillo da un frate benedettino che lavorava nel campo di assistenza a Pescantina, accogliendo i reduci dei lager.
Nel Centro di Assistenza Reduci si distribuivano viveri e vestiti agli ex lavoratori coatti e agli ex prigionieri dei campi di concentramento, che dopo una breve sosta proseguivano il loro viaggio. Per gli infermi erano a disposizione dei letti da ospedale. Un Ufficio Informazioni raccoglieva i dati su morti, dispersi e sulle condizioni di vita nei lager nazisti. Qui i familiari potevano chiedere informazioni sui dispersi. I comuni dell’Italia settentrionale inviarono a Bolzano autocarri per riportare a casa i sopravvissuti delle loro città. I nostri paesani tornarono con i mezzi più disparati ed alcuni ci misero decine di giorni per rientrare.
A Cinquefrondi i primi cinquanta arrivarono a fine estate del ‘45. I registri della Croce Rossa ne annotano generalità, grado, n° di internamento e lager di provenienza.
Di fatto, il rientro a casa degli Imi fu estremamente complicato e per la mancanza di un efficace coordinamento da parte dello stato italiano, migliaia di uomini si trovarono costretti ad organizzarsi da soli per tornare a casa.
Perfino una volta giunti in patria gli ex Imi non trovarono qualcuno che li accogliesse e alle volte, quando si presentarono ai distretti militari di appartenenza, furono addirittura costretti a rimettersi la divisa per concludere il periodo di leva.
In pochi presero sul serio la loro tragedia, interpretata nel migliore dei casi come sfortunato corollario della guerra, letta più spesso come evidente prova di vigliaccheria. Soltanto a quasi cinquanta anni dai fatti, si è aperto un serio percorso storico e politico che ha contribuito a non farne naufragare la memoria.
MILITARI RIENTRATI A CINQUEFRONDI DAI CAMPI DI PRIGIONIA DEI NAZISTI E ANCHE DEGLI ALLEATI
NOME | NASCITA | DATA RIMPATRIO | N° INTERN. | CAMPO INTERNAMENTO | GRADO |
BULZONI ANTONIO | 5/10/1917 | 7 AGO. 45 | 07019 | XII F | SOLDATO |
BARONE MICHELE | 14/08/1921 | 26 LUG. 45 | 277120 | LAGER IV B | SOLDATO |
TIGANI DOMENICO | 20/03/1919 | 9 AGO. 45 | 11356 | STALAG VI C | SOLDATO |
VALENZISI MICHELE | 12/06/1918 | 20 LUG.45 | 48370 | LAGER IX C | SOLDATO |
CARERA EMILIO | 13/12/1922 | 29 LUG. 45 | 6153 | LINZ 398 | FANTE |
AMATO MICHELE | 22/02/1923 | 31 LUG. 45 | 6809 | VI I | FANTE |
AUDDINO FRANCESCO | 22/10/1921 | 31 LUG. 45 | 23872 | IV D | FANTE |
CANDIDO MICHELE | 07/10/1919 | 31 LUG. 45 | 16876 | ELA 184 | AVIERE SCELTO |
BRUZZESE GIUSEPPE | 13/12/1919 | 5 AGO. 45 | 208838 | X B | SANITA’ |
CANNATA’ PASQUALE | 30/08/1923 | 25 AGO. 45 | 179101 | X A | SOLDATO |
GUERRISI FRANCESCO | 01/04/1913 | 26 AGO. 45 | 372 | KASSEL | SOLDATO |
MEZZATESTA GIUSEPPE | 01/01/1922 | 25 AGO. 45 | —- | VIENNA | SOLDATO |
MILITO GIUSEPPE | 18/10/1921 | 31 AGO. 45 | 41989 | 117 C | SOLDATO |
CARLINO SILVIO | 01/01/1923 | 17 AGO. 45 | 155112 | X B | AVIERE |
CICCONE DOMENICO | 14/09/1923 | 6 AGO. 45 | 190522 | X B | ARTIGLIERE |
FANTE MILANO | 31/03/1909 | 23 AGO.45 | 179406 | X B | FANTE |
GUERRISI VINCENZO | 02/10/1920 | 24 AGO. 45 | 179505 | X B | GENIO |
GUERRISI VINCENZO | 27/10/1916 | 10 SETT. 45 | 104942 | VI C | S.TENENTE |
GUERRISI WILSON | 15/12/1918 | 11 SETT. 45 | 20158 | I A | S.TENENTE |
LONGO ANTONIO | 01/11/1920 | 27 AGO. 45 | 175374 | X B | CAP.MAG |
PETULLA GIROLAMO | 11/01/1908 | 11 SETT. 45 | 85997 | VI C | FANTE |
TIGANI SALVATORE | 02/01/1919 | 20 SETT. 45 | 110704 | XI A | ARTIGLIERE |
BORGESE DOMENICO | 24/03/1911 | 28 AGO. 45 | 181079 | X B | FANTE |
BOETI ANTONIO | 16/08/1920 | 22 AGO. 45 | 21057 | I A | SANITA’ |
BURZESE DOMENICO | 08/02/1922 | 09 AGO. 45 | 74760 | VI J | FANTE |
BULZONI LUIGI | 03/06/1921 | 23 AGO. 45 | 85996 | VI J | GENIO |
BONO FRANCESCO | 25/12/1922 | 5 SETT. 45 | 70065 | VI J | SOLDATO |
GALLO ANGELO | 15/01/1921 | 27 LUG. 45 | 83911 | KASSEL | SOLDATO |
COSTA MICHELE | 20/08/1920 | 5 SETT. 45 | 199733 | HANNOVER | SOLDATO |
BARILLARO MICHELE | 05/05/1916 | 14 SETT. 45 | 101243 | KLINGENTAL | SOLDATO |
GALLUZZO ANGELO | 09/10/1913 | 18 SETT. 45 | 121100 | BERLINO | CAPORALE |
CIMINELLO MICHELE | 13/12/1921 | 9 SETT. 45 | 36069 | RONDORETTE | SOLDATO |
FRANCO ANGELO | 23/08/1920 | 9 SETT. 45 | 48252 | NIEDERSELDEN | SOLDATO |
PAOLO GIUSEPPE | 23/05/1923 | 12 OTT. 45 | 155224 | U.S.A. | ARTIGLIERE |
PANETTA FRANCESCO | 22/10/1916 | 7 OTT. 45 | 310794 | III B | CAPORALE |
DEPINO ANTONIO | 31/08/1921 | 2 DIC. 45 | —- | FRANCIA | SOLDATO |
MISIANO RAFFAELE | 17/09/1911 | 15 OTT. 45 | 353595 | ORANO | SOLDATO |
PICCOLO ANGELO | 09/01/1922 | 16 OTT. 45 | 301129 | ALGERI | SOLDATO |
RASO ANGELO | 19/09/1915 | 17 OTT. 45 | 81.1.365187 | AFRICA | SOLDATO |
SERINA SALVATORE | 03/04/1920 | 1 OTT. 45 | 37864 | FRANCIA | ARTIGLIERE |
VALENZISI MICHELE | 27/11/1919 | 1 OTT. 45 | 18634 | ALYTE | FANTE |
MONTALTO ANGELO | 02/01/1923 | 18 FEB. 45 | 689 | XIII A | SOLDATO |
NASO ANTONIO | 19/06/1918 | 20 LUG. 45 | 46624 | SUSDAL 160 | S.TEN |
PETULLA FRANCESCO | 09/05/1920 | 6 NOV.45 | —– | BELGRADO | SOLDATO |
CANDIDO GIUSEPPE | 23/03/1918 | 28 GIU. 45 | 116321 | INGHILTERRA 151 | SOLDATO |
BULZOMI GIUSEPPE | 08/11/1918 | 5 OTT.45 | —– | LION | SOLDATO |
TROPEANI GIUSEPPE | 07/12/1920 | 2 DIC. 45 | —– | FRANCIA | CAP. MAG. |
NAPOLI SALVATORE | 06/12/1918 | 23 AGO. 45 | 151205 | XVIII A | SOLDATO |
RASO ROCCO | 13/09/1919 | 14 AGO. 45 | 53022 | VI A | CAP. MAG |
Ovviamente ho trascritto i nomi così come sono riportati in un vecchio registro della Croce Rossa che riguarda proprio il 1945.
Finita la guerra, su questa immane tragedia calò un inspiegabile silenzio. Anche coloro che ritornarono ne parlarono malvolentieri o non ne parlarono affatto. Ancora pesava la mistificazione fascista che li voleva dei disertori o peggio dei traditori, perché non avevano accettato di arruolarsi nei reparti tedeschi o nell’esercito della Repubblica fantoccio di Salò per combattere, si badi bene, non contro lo straniero, ma contro gli stessi italiani.
Infatti ci fu pure qualche comandante fascista che, quando vide, da lontano, quella che poteva sembrare un’uniforme americana, si calò velocemente le braghe e si vendette al miglior offerente. Così i veri traditori (ed alcuni avevano addirittura occupato i massimi livelli della gerarchia militare fascista e nazista) diventarono i lustrascarpe dei servizi segreti angloamericani e furono subito arruolati in un nuovo tipo di guerra, che produrrà comunque morti, stragi, terrore e durerà ancora per decenni: la Guerra Fredda.
Ci vorranno molti anni perché incominci a venir meno il tabù dell’internamento, soprattutto grazie alla pubblicazione di molta memorialistica che valorizza quella Resistenza Silenziosa. Con legge del 27 dicembre 2006 n. 296 (Finanziaria 2007), la Repubblica italiana riconosce a titolo di risarcimento, soprattutto morale, il sacrificio dei propri cittadini deportati ed internati nei lager nazisti, destinati soprattutto al lavoro coatto per l’economia del Terzo Reich, e autorizza la concessione loro di una medaglia d’onore. All’ Internato Ignoto viene conferita la Medaglia d’Oro al Valore Militare. Meglio tardi che mai ?
Da piccola , avevo appena 6 anni , non avevo per nulla una chiara visione della aggrovigliata e insulsa guerra di cui ho letto con molto interesse la tua esposizione . Ma vedendo come si svolsero gli avvenimenti di allora rimango ora più sconvolta che mai. Avrei voluto esporre in modo conciso e chiaro il mio pensiero ma ho i miei limiti. Grazie di avermi illuminata.
Non concordo in pieno sulle accuse di vigliaccheria e tradimento mosse agli ex internati a causa della mentalità fascista.
Primo perché non ci fu vigliaccheria, molti erano stufi della guerra e preferirono la prigionia al fronte, e non ci fu tradimento, le Forze Armate giuravano fedeltà a Casa Savoia non a Mussolini, e credo che qualcuno (spero molti ma non lo so) non volle rompere quel giuramento. Non dimentichiamo, inoltre, che ci furono formazioni partigiane di ex militari e monarchiche e che i Reali Carabinieri, fedeli alla monarchia e di cui tantissimi collegati alle organizzazioni partigiane, erano una spina nel fianco di Mussolini e i nazisti, prima della deportazione degli ebrei dal Ghetto di Roma, li disarmarono e imprigionarono.
Ciò premesso, credo che la colpa dell’abbandono di questi nostri concittadini sia da ricercare anche in altri ambienti dove non si spese una parola a favore di questi uomini e non perché fossero dei vigliacchi ma per la propria incapacità a gestire quello che era successo.
L’8 settembre fu considerato per decenni una grandissima onta dagli Stati Maggiori delle Forze Armate e si tacque sulla resistenza dei militari italiani sia in Patria che all’estero.
Si pensi alla Divisione Acqui a Cefalonia. Per anni nessuno ne ha parlato, solo nel 1980 il Presiedente della Repubblica Sandro Pertini si recò a Cefalonia a rendere omaggio a questi caduti e, anche se nel 1975 venne costituita una Brigata Acqui, è solo dall’inizi di questo secolo che la Divisione venne ricostituita e le venne riconosciuto il merito di essere stata la prima forma di resistenza armata al nazismo.
Lo stesso per gli internati. Solo da poco si parla di resistenza nei campi di concentramento dove molti, come ho detto, erano monarchici e non fascisti. Vedi ad esempio quello che successe a Unterluss, un campo di rieducazione al lavoro, dove 44 Ufficiali italiani vennero rinchiusi e torturati, fino a causare la morte di alcuni di loro, per essersi rifiutati di aderire a Salò e di collaborare con i tedeschi. I dati statistici, d’altronde, ci dicono che solo il 10% degli internati aderì alla Repubblica Sociale Italiana.
Dopo la guerra, perciò, tra la reticenza dei reduci, sia degli internati sia dei prigionieri militari degli alleati, e la voglia di lasciarsi alle spalle gli orrori del periodo nessuno aveva voglia di parlarne. Se poi aggiungiamo la strumentalizzazione politica della Liberazione, l’idea, ancora attuale purtroppo, che chi combatté nella II Guerra Mondiale fosse per forza fascista ed il silenzio dei comandi militari abbiamo questo lungo periodo di oblio che tutti conosciamo.
Ringrazio Silvio Lori per il cortese commento ed anche per aver ricordato due episodi fondamentali nella storia della seconda guerra mondiale: il massacro della Divisione Acqui, in cui trovò la morte anche un nostro concittadino Giuseppe Francesco Furiglio (https://www.cinquefrondineltempo.it/il-giovane-di-cinquefrondi-che-fini-davanti-al-plotone-desecuzione-a-cefalonia/) e la grande lezione di coraggio e d’onore dei magnifici 44 ufficiali italiani deportati ad Unterluss per aver chiesto ai tedeschi di essere fucilati al posto di 21 loro commilitoni che erano già stati avviati davanti al plotone d’esecuzione. Inoltre Silvio Lori valorizza, giustamente, anche il ruolo nella Resistenza dei carabinieri e delle altre forze dell’ordine. Infatti solo a Roma, durante l’occupazione tedesca, si distinsero sia il Fronte Militare Clandestino del generale Montezemolo (poi ucciso alle Fosse Ardeatine) che il Fronte Clandestino di Resistenza Carabinieri del generale Caruso, per non parlare della Bosco Martese in Abruzzo o della Compagnia Carabinieri Patrioti fra Emilia-Romagna, Lombardia e Liguria. Certamente, e qui concordo con Lori, la vulgata storica del dopoguerra, ha privilegiato quelle formazioni partigiane con forte caratterizzazione ideologica. Proprio da questa considerazione nasce il mio spunto polemico sul ritardato riconoscimento degli Internati Militari da parte della Repubblica Italiana, che ne riconosce il valore resistenziale ben 61 anni dopo i fatti e sulla spinta di centinaia di pubblicazioni memorialistiche di molti reduci da quei lager. A questo proposito, approfitto di questo mio commento per segnalare il lavoro di Nicola Marazzita, apprezzato docente galatrese, che ha appena pubblicato un volume sulla storia, molto documentata, del proprio padre prigioniero nel lager XVII A (https://www.amazon.it/coraggio-dei-tre-resistenza-silenziosa/dp/B0CR2QCTJX). Infine voglio anche ringraziare Letizia Ieranò che con la tenerezza dei suoi occhi da bambina, ricorda ancora le vicende di quegli anni. Ricordi da un punto d’osservazione privilegiato, la sua abitazione in via Roma quasi di fronte al quartier generale americano e quasi a fianco del deposito alimentare che sfamava la popolazione, trasferito a Cinquefrondi proprio in via Roma 10, proprietà di Ferrazzo Michele. Il deposito era stato trasferito dopo il saccheggio del deposito di Taurianova, all’indomani della ritirata tedesca. Il capitano Schauffler condurrà, dalla villa del Commendatore Galluzzo, una lunga indagine per scoprire i colpevoli del saccheggio e riuscirà ad assicurare alla giustizia gli esecutori materiali del crimine, ma non i mandanti. Ma questa è un’altra storia, forse ne riparleremo.