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Mons. Marra e gli operai Salcos
Don Giovanni Marra si interessò sempre delle cose cinquefrondesi, anche quando gli impegni in Vaticano lo costringevano a lunghi periodi senza recarsi in paese. I lavori della superstrada Jonio-Tirreno furono una delle questioni che seguì con maggiore attenzione, consapevole dell’importanza dell’opera. E nel 1991 dovette spendere tutti i suoi buoni rapporti con il capo del governo Giulio Andreotti, per riparare a un torto che stava per essere perpetrato ai danni degli operai cinquefrondesi.
Il 29 ottobre del 1987 quando gli operai fecero cadere l’ultimo diaframma della lunghissima galleria della Limina, Marra corse a Cinquefrondi. Quel giorno una grande folla si radunò sulla Limina, parlamentari nazionali e regionali, amministratori della Provincia, il sindaco e i consiglieri comunali, sindacalisti, lavoratori, cittadini e tanti curiosi.
Alle 12.10 una carica di esplosivo fece cadere l’ultimo strato di roccia che separava i due versanti della Calabria. Un evento epocale, perché fino a quel momento non esisteva una strada che corresse da un mare all’altro, senza interruzioni e senza dover varcare le tortuose strade di montagna.
Fra gli altri intervenne anche il vescovo cinquefrondese con un saluto breve ma non di parata: espresse compiacimento per l’avvenimento e osservò che “quanto è stato fatto non basta ancora”, perché “bisogna guardare avanti, in modo che questa strada rappresenti lo sviluppo umano nei confronti della Calabria”.
L’opera fu realizzata nell’arco di tanti anni non senza difficoltà tecniche e frizioni sindacali, con periodiche crisi tra l’azienda appaltante e lavoratori. Spesso infatti per ragioni burocratiche e di inefficienza (ritardi nei pagamenti della pa, o nell’approvazione di varianti ai lavori, o degli stati di avanzamento, ecc.) l’azienda per fare pressione sugli uffici governativi strumentalizzava i poveri lavoratori, minacciava infatti di bloccare i lavori mettendo il personale in cassa integrazione o addirittura licenziando qualcuno a scopo dimostrativo. Così in automatico scattavano scioperi e proteste sindacali, con l’inevitabile ricorso ai funzionari ministeriali e al governo per mettere una pezza ai problemi aperti. Niente che non si sia già visto, purtroppo, anche altrove.
In occasione di una delle tante riunioni a Roma fra sindacalisti e ministero del lavoro per scongiurare cassa integrazione e licenziamenti, Marra si presentò di persona, davanti alla Presidenza del consiglio, per salutare gli operai cinquefrondesi, e portare loro la sua solidarietà. Sorprese tutti con quel gesto, tante di quelle persone neanche lo conoscevano, se non di nome. Ma per lui era importante che quegli operai e quei sindacalisti sapessero che il vescovo cinquefrondese stava dalla loro parte e se avesse potuto fare qualcosa per sostenere la loro causa, l’avrebbe sicuramente fatto.
L’occasione di fare qualcosa di concreto arrivò dopo la fine dei lavori della grande superstrada, quando Marra fece la sua piccola parte per aiutare gli operai cinquefrondesi e della piana, intervenendo di persona presso il presidente del consiglio Giulio Andreotti.
Ecco che cosa accadde: una parte delle ex maestranze, soprattutto di Cinquefrondi, era stata esclusa per cavilli legali da alcuni benefici economici. Così ricorda la vicenda Nunzio Candido, funzionario della Cisl, e amico personale del vescovo: “con la conclusione dei lavori e la chiusura del cantiere della grande opera pubblica, gli operai vennero posti prima in cassa integrazione e successivamente sarebbero andati in mobilità. Ma furono esclusi dal beneficio quei lavoratori che erano stati in forza alla Fercalo, una ditta subappaltatrice di alcuni lavori per conto dell’impresa madre Salcos Ferrocementi; l’esclusione secondo la legge era dovuta perchè la ditta non raggiungeva il numero di almeno 15 unità lavorative. Il sindacato provò a spiegare che quei lavoratori erano come tutti gli altri, che la diversa appartenenza di ditta non poteva essere un discrimine. Ma non ci fu nulla da fare, e sia il ministero del lavoro, sia il pretore respinsero la nostra richiesta, era il 1991″.
“Ai lavoratori -prosegue il racconto di Nunzio Candido- non restava che protestare a Roma in sede governativa. A parole e con i comunicati erano tanti a sostenerci, anche in sede politica, ma poi atti concreti non se ne vedevano. Ci rivolgemmo allora al vescovo Marra, sperando in suo intervento, e ci andò bene. Perché lui prese a cuore la cosa, coinvolse il direttore generale della previdenza sociale Giuseppe Borgia, un palmese da tanti anni a Roma, e chiese subito udienza al presidente del consiglio Andreotti. Questi convocò una riunione a Palazzo Chigi dove andarono Marra, Borgia e un rappresentante dei lavoratori per spiegare come stavano le cose e sollecitare un provvedimento in deroga alla legge o comunque una misura che non lasciasse sulla strada, di punto in bianco, quegli operai. Andreotti comprese il problema e lo fece suo, e promise che avrebbe fatto approvare un apposito decreto ministeriale di concessione degli ammortizzatori sociali, grazie al quale anche quegli operai cinquefrondesi avrebbero potuto percepire l’assegno che avevano richiesto. E così avvenne”.
Si trattò di un piccolo gesto di diplomazia politica, il prete era buon amico del Presidente Andreotti e questi si fidava di lui, perciò non esitò ad accogliere quella richiesta che era peraltro soprattutto di buon senso. Ma soprattutto colpì l’enorme senso pratico di Marra che, oltre a esternare la sua solidarietà a parole, si mosse personalmente e fece valere le sue amicizie altolocate per evitare che si commettesse una ingiustizia a danno di un gruppo di lavoratori che, alla pari di tutti gli altri, avevano partecipato alla realizzazione della medesima opera pubblica e rischiavano di essere tagliati fuori dai benefici previdenziali. Andreotti mantenne la sua parola.