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Venticinque anni fa moriva Madre Teresa di Calcutta. E’ stata fatta santa per il bene che ha fatto in vita, per i miracoli fisici e spirituali che ha propiziato. Tante cose si sanno di questa suorina albanese che esercitò la carità in giro per il mondo, trascinandosi dietro una marea di altre religiose come lei e di volontari di tutte le età. Pochi però probabilmente sanno che uno dei suoi più grandi amici fu un cinquefrondese, don Giovanni Marra.

I due si conobbero ben prima che il sacerdote facesse una bella carriera ecclesiastica, divenendo fra l’altro anche arcivescovo di Messina. Marra era un semplice prete quando, nel 1979, il papa Giovanni Paolo II gli affidò il compito di occuparsi delle Missionarie della carità e di aiutare Madre Teresa nelle sue opere. Lui già da anni conosceva e frequentava la religiosa albanese e le sue case per i poveri aperte a Roma, dove si occupano di malati di aids, di anziani abbandonati, di famiglie senza casa.

Nel dicembre del 1986 ero al mio posto di lavoro all’Agenzia Ansa quando mi chiamò Marra, “domenica non prendere impegni, vorrei mi accompagnassi in un posto”, disse, suscitando la mia comprensibile curiosità. Quando venne il momento, con la sua vecchia Opel, ci dirigemmo al quartiere Primavalle. Una zona periferica e malandata di Roma ovest, tutt’altro che elegante, palazzi cadenti, strade sbrecciate, pochi negozi, tanta gente povera e senza lavoro, tanta criminalità.
Ci fermammo davanti a un brutto e cadente fabbricato in via Sant’Igino Papa 236, ed entrammo in Casa Allegria, un luogo destinato a segnare la storia della solidarietà cristiana a Roma.

Era una vecchia scuola in disuso, un casermone rimasto abbandonato per anni,  composto da due piani esterni e un grande seminterrato. Quella sera Madre Teresa di Calcutta era lì. I due si salutarono molto calorosamente e affettuosamente, rimasero a lungo in un angolo a parlare; Marra poi presentò alla Madre l’autore di questo articolo e altri giovani presenti a quella singolare serata. C’erano anche altre persone, mamme con bambini e neonati. Sul momento non capii dov’ero finito.


Il vescovo celebrò la Messa nella cappellina, con Madre Teresa seduta per terra, quasi avvolta dal suo sari bianco orlato di azzurro, e circondata dalle altre sorelle. Infine venne il momento dei saluti; la suorina si fermò a parlare con ciascuno dei presenti, in inglese. Lei era piccolissima, alta forse un metro e mezzo, con una voce flebile, ma mi sembrò di avere di fronte una persona gigantesca, tanta era l’impressione e l’energia suscitata da quella donnina. In molti non riuscirono nemmeno ad aprire bocca, come afferrati da una forza misteriosa. La sua personalità era talmente forte che incuteva emozione. Eravamo stati salutati e abbracciati da una santa, ma l’avremmo capito davvero solo molti anni dopo.

Ma perchè parlo di Casa Allegria ?  perchè fu proprio il prete cinquefrondese a  reperire quella struttura, farsela assegnare dal sindaco di Roma dopo mille insistenze, e poi affidarla alle suore di Madre Teresa dopo averla fatta risistemare alla meglio.

A Casa Allegria in 40 anni sono state accolte, curate e sostenute più di 1700 madri in difficoltà. A quella porta bussano ancora oggi tante giovani mamme, soprattutto straniere e poverissime, molte abbandonate o vittime di violenza; a tutte loro, suorine e volontari garantiscono vitto, alloggio, cure mediche, e tanto affetto, oltre a pannolini, omogeneizzati e tutto ciò che serve quando nasce un bimbo. Le suorine cercano anche di trovare un lavoro e una sistemazione per le loro assistite.
Il tutto senza ricevere contributi statali o di altri enti o del Vaticano, ma solo con l’aiuto della Provvidenza e dei benefattori privati, secondo le indicazioni di Madre Teresa. A volte la dispensa è strapiena, altre un pò meno. Ma le cose finora sono sempre andate benissimo.

Marra fin dall’inizio si diede un gran daffare per coinvolgere volontari, medici e specialisti del policlinico Gemelli, fra cui un personaggio prestigioso della ginecologia, calabrese anche lui, come il prof. Giuseppe Noia, e poi amici e conoscenti di ogni tipo, tutti chiamati a dare una mano alle suore, ma soprattutto a quelle mamme povere e abbandonate, che per la società non erano nessuno e non valevano nulla, ma che dentro Casa Allegria erano trattate con tutti i riguardi.
Quella Casa nacque ufficialmente l’1 novembre del 1980; un paio di giorni prima Papa Wojtyla in persona consegnò a Madre Teresa  le chiavi dell’edificio che Marra gli aveva procurato.

Quello è anche un luogo di serenità e di pace. Quando suonate al campanello vi ricevono suorine sorridenti e allegre, quasi tutte vengono da lontano, e fra di loro parlano in inglese, ma tutte conoscono l’italiano. Le mamme ospiti sono come loro figlie, accudite con premura e tenerezza.

Per ognuna c’è un’attenzione speciale, un senso di protezione dal mondo esterno, che spesso verso di loro ha mostrato il suo volto malvagio. Qui c’è grande festa per ogni nascita, regali per le mamme a Natale, per il compleanno. Tante lacrime vengono silenziosamente asciugate e tanti semi di speranza nel futuro cominciano a germogliare per persone a cui la vita sembrava aver voltato le spalle. E anche dopo che vanno via, quelle madri restano legate per sempre a Casa Allegria e vi tornano spesso, anche solo per un saluto. Lì si annoda un cordone di amicizia, fede, speranza che non verrà più sciolto.

Le suorine si prendono cura anche di molti anziani del quartiere, spesso rimasti soli. Portano loro da mangiare, li vanno a trovare, fanno compagnia, talvolta li lavano,  rassettano la casa, pregano assieme. Fanno quello che molti figli non fanno più e che molti vicini di casa non sono interessati a fare. C’è una spaventosa quantità di amore che ogni mattina fuoriesce dal cancelletto di Casa Allegria e si riversa per le strade di un mondo segnato dalla violenza, dall’egoismo, dall’avidità, dall’individualismo sfrenato.
Una volta mons. Marra rivelò in un’intervista che molte ospiti di Casa Allegria erano prive di permessi di soggiorno, e spesso clandestine, extracomunitarie, alcune senza documenti. Cosa che fece temere ad alcuni volontari di compiere qualche illegalità. Ma la Madre fu netta: ‘Come potete pensare che una ragazza madre clandestina che bussa alla nostra porta  in cerca di accoglienza, possa essere mandata via? Questo non accadrà mai! La porta di Madre Teresa si aprirà sempre per tutti’. Assistetti in prima persona – raccontò Marra – a questo eloquente esempio di misericordia, una volta, davanti al questore”.

Marra era una specie di tuttofare per Madre Teresa. Una volta che stava molto male e restò ricoverata alcuni mesi, ricevette in incognito la visita dell’allora sovrano belga Baldovino e di sua moglie, la regina Fabiola. Li accompagnò Marra, ma non lo seppe nessuno a parte le forze dell’ordine. I reali non volevano pubblicità e il vescovo cinquefrondese gestì tutto con assoluto riserbo. In quel periodo quando andava a trovare Madre Teresa ricoverata, Marra celebrava la Messa nella stanzetta dell’ospedale, usando come altare il carrello delle vivande.

Quando Giovanni Paolo II fu in ospedale dopo l’attentato del 13 maggio 1981, Madre Teresa andò a trovarlo, accompagnata da Marra. I fotoreporter la videro e le foto che le scattarono davanti al policlinico Gemelli, dove c’era il papa ferito, fecero il giro del mondo. Anche la Gazzetta del sud pubblicò in prima pagina una grande fotografia che ritraeva Madre Teresa e il prete cinquefrondese suo accompagnatore all’ingresso del policlinico, ma la didascalia del giornale riportava solo il nome della religiosa albanese, perché lui era uno sconosciuto. Stava a contatto con i grandi, ma si teneva sempre un passo dietro, con molta umiltà. E pochi sapevano chi fosse.

Anni dopo, quando il pontefice polacco fu di nuovo in ospedale per un intervento chirurgico, la Madre preferì andare a trovarlo in incognito, presentandosi a un ingresso secondario del Gemelli sempre accompagnata da mons. Marra, ma a bordo della vecchia Opel guidata dal giovane nipote di lui. Così passarono inosservati e andarono tranquillamente al piano dove c’era la stanza di Papa Wojtyla, senza dover affrontare la ressa di giornalisti e cameramen appostati davanti all’ingresso.

Marra dunque era un amico personale di Madre Teresa, i due si davano del tu, lui seguiva le attività della Madre in giro per il mondo. Tale era la familiarità fra i due, che si può senz’altro ammettere l’ipotesi che Marra fosse anche il confessore della santa. E quando il Papa voleva parlare con lei, si rivolgeva al vescovo di Cinquefrondi che sapeva dove e come trovarla. Marra si trovò dunque a fare da tramite fra due futuri santi, privilegio incredibile e straordinario.

C’è lo zampino di don Giovanni anche nella nascita di un’altra straordinaria realtà di accoglienza per i poveri, la casa ‘Dono di Maria’, realizzata dentro le stesse mura vaticane, e sempre affidata alle suore di Madre Teresa, dove tutti i giorni vengono offerti pasti caldi a tutti, e ricovero notturno a un gruppo di donne senzatetto.
Anche questo luogo di carità è operante ancora oggi, il portone d’ingresso si affaccia quasi all’angolo del colonnato di san Pietro. Vi transitano davanti ogni giorno migliaia di turisti e fedeli. Alle ore dei pasti e alla sera, all’ingresso staziona un piccolo popolo in attesa di poter mangiare e di un letto in cui trascorrere la notte.
Fanno tutto le Missionarie con l’aiuto di volontari a turno, tutti gratis naturalmente, e con il sostegno della Provvidenza. Anche la ‘Dono di Maria’ fu voluta da Giovani Paolo II per dare una mano ai tantissimi poveri che, di sera soprattutto, bivaccano nei pressi della Basilica di San Pietro. Un fenomeno che si verificava ai tempi del Papa polacco e anche in quelli di Papa Bergoglio.
Di queste e altre opere mai si è detto pubblicamente e ufficialmente quanto c’entrasse Marra, invece è sempre stato lui il motore di tutto, discreto e silenzioso. Lui reperiva i locali, i soldi per fare i restauri, si occupava dei documenti e delle autorizzazioni comunali, quando necessarie. Tutte le volte che Madre Teresa veniva a Roma, la futura santa andava a fare visita al monsignore cinquefrondese. Con lui si consigliava, a lui chiedeva parere su tutto, perfino sulle interviste.
A volte era il vescovo che andava a trovarla nella Casa di san Gregorio al Celio, un antico pollaio riadattato a convento, dalle parti del Colosseo. Qui la Madre aveva la sua stanzetta, due metri per due, con un lettino e una sedia, un tavolino e un minuscolo armadio. Oggi è diventata la stanza della memoria della santa, una reliquia da mostrare agli ospiti. E’ rimasta come la lasciò la Madre, grande santa e maestra di vita, che ebbe in un cinquefrondese uno dei suoi migliori amici.

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