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 Domenico Manferoce

 

La farmacia Manferoce è un luogo simbolo di Cinquefrondi, e non solo perché prima o poi tutti si è andati lì a comprare le medicine. Per decenni infatti quello è stato il mondo del professore Domenico Manferoce. Lo chiamavano professore, con grande deferenza, ma lui in realtà era, appunto, farmacista. Fu consigliere comunale e sindaco alla fine degli anni Cinquanta (1955-1961) e per molto tempo indiscusso leader del partito socialista.

Il prof. Manferoce, Mico per gli amici stretti, è stato un personaggio di rilievo nel paese, uomo dal sapore antico, tutto d’un pezzo, affabile nelle relazioni con le persone, capace di mettere chiunque a proprio agio, e soprattutto persona determinata nelle sue convinzioni. E’ stato un vero e proprio punto di riferimento politico e sociale per il paese. 

Gli anni in cui il prof. Manferoce fu sindaco erano tempi di forti contrapposizioni politiche, e di grande precarietà sotto il profilo economico e del lavoro. In quel contesto il professore svolse un grande e paziente lavoro di coesione sociale a difesa soprattutto delle fasce di cittadini più in difficoltà dal punto di vista economico. 

 

 

La sua farmacia è stata, oltre che il suo posto di lavoro, anche luogo di incontro e di riunione per cittadini e militanti socialisti, sede di elaborazione di idee e proposte politiche per il presente e il futuro della nostra cittadina. Nel retro di quella farmacia si facevano liste e campagne elettorali, si scrivevano manifesti e si scatenavano feroci polemiche contro gli avversari politici.

 

Manferoce ha interpretato con passione e rigore il suo impegno politico nel senso del servizio ai cittadini, e per questo ha ricevuto sempre grande consenso, soprattutto nelle fasce più emarginate della popolazione e anche da quanti, pur non appartenendo culturalmente o ideologicamente alla sua parte politica, lo stimavano e gli riconoscevano visione aperta, disponibilità e grande senso del dovere. 

Fu sindaco in alleanza con i comunisti, nonostante il suo partito fosse meno forte numericamente del Pci. In realtà la sua personalità era straripante, e quell’elezione a primo cittadino arrivò quasi senza nemmeno trattare, tanto era riconosciuta la sua leadership.

 

Del professore si ricorda lo sguardo teneramente severo sotto gli occhialetti da lettura calati sulla punta del naso. Era un uomo alto, in gioventù era stato un bell’uomo, dal portamento elegante, dal temperamento focoso, brillante. Da anziano, con gli occhialetti da presbite sulla punta del naso, se ne stava seduto, anzi sprofondato, su un grande poltrona di pelle davanti al bancone della farmacia, prendeva la ricetta e senza muovere la testa alzava lo sguardo. 

Ai ragazzini incuteva soggezione, ma era un’impressione sbagliata perché l’uomo era invece arguto e spiritoso e di grande simpatia, da vero leader capace di entrare in contatto con le persone, senza troppi fronzoli. Ed era anche un uomo molto generoso, la sua porta non fu mai chiusa a quanti chiedevano medicine ma non avevano i soldi per pagarle. E tanti ricordano anche le volte che ‘prestava’ le bombole di ossigeno a chi aveva dei malati gravi in casa, le noleggiava praticamente gratis. Insomma un farmacista comprensivo, ma soprattutto un gran signore. Non a caso era assai benvoluto.

Lucia Carlino, avvocato e molti anni fa anche consigliere comunale e vicesindaco, è stata per lungo tempo vicina di casa del prof. Manferoce: “con i miei abitavamo proprio di fronte alla farmacia in via Roma. Il professore-farmacista era il primo ad accorrere ai malesseri di mia nonna, prima ancora del medico. E metteva a disposizione il suo telefono a mia nonna che così poteva sentire la voce dei suoi figli emigrati a Milano. L’affetto e la vicinanza sono continuati con la generazione successiva ed anche Raffaele (anche lui professore, ma credo a ragion veduta perché penso abbia collaborato in qualche dipartimento universitario) ha continuato nella scia del padre, quanto a generosità ed umana disponibilità”.

Del professore Manferoce ho un ricordo personale. Era il 30 gennaio 1972 e, per la prima volta nella storia calcistica italiana, la Juventus giocava una partita di campionato contro la squadra del Catanzaro, neopromossa in Serie A. Il farmacista organizzò una nutrita spedizione di cinquefrondesi allo stadio per assistere alla partita, radunando un bel gruppo di persone, ci saranno state sette o otto macchine. La Juventus anche allora aveva uno squadrone, era al vertice della classifica, e generalmente mandava in campo mezza Nazionale italiana. Quell’anno spiccavano veri campioni, fra gli altri Causio, Capello, Anastasi, Spinosi, Marchetti, Morini, Salvadore, Cuccureddu

 

La proposta di andare a vedere dal vivo la grande Juventus aveva trovato ampio consenso fra gli amici del professore, pregustando un grande spettacolo e magari una bella vittoria della Juve. Quel giorno invece la Vecchia Signora non fu all’altezza della sua fama, e anzi nei minuti finali fu battuta da un incredibile gol di Mammì, centravanti catanzarese che ancora oggi probabilmente si starà chiedendo come fece a trafiggere la porta bianconera. 

A fine gara scoppiò un entusiasmo indescrivibile, una grande festa sugli spalti per quella vittoria inaspettata, alcuni tifosi si sentirono male per l’emozione, Catanzaro era impazzita di gioia, caroselli di auto attraversavano la città come se fosse stato vinto il campionato. Per il Catanzaro in effetti quella vittoria valeva uno scudetto e ripagava decenni di amarezze sportive.

Il gruppo di cinquefrondesi invece festeggiò con moderazione quel successo, perché in realtà erano quasi tutti juventini delusi dalla sconfitta, ma naturalmente tennero un contegno adeguato, per non urtare la suscettibilità dei catanzaresi, cosa da evitare assolutamente. A quel tempo peraltro era ancora aperta la ferita provocata dalla sciagurata vicenda di ‘Reggio capoluogo’, e benchè quella fosse stata una questione tutta politica che non c’entrava nulla con lo sport, tra reggini e catanzaresi serpeggiava ancora un certo astio malcelato.  Quella giornata fu molto piacevole anche per un altro motivo: andando verso Catanzaro, il prof. Manferoce propose una deviazione per andare a una specie di fattoria di sua conoscenza, dove il titolare suo amico offrì pane vino e formaggio a quell’allegra combriccola di tifosi, e fece anche qualche affare. Al professore piaceva quel ruolo di buon capopopolo e alle persone piaceva la sua compagnia. Un grande personaggio. 

In una recente intervista, l’avv. Francesco Raschellà, che fu sindaco dal 1967 al 1977, ha ricordato che quando Manferoce morì fece mettere la Sala del Consiglio comunale a disposizione della famiglia per la camera ardente, per onorarlo come ex sindaco, così che tutti i cinquefrondesi potessero rendere omaggio al loro vecchio amministratore e a un leader politico protagonista di tante battaglie e grande impegno.

Nel 2017 fu proposto al Comune (anche da chi scrive)  di intitolare una strada al prof. Manferoce, ma senza esito. Peccato, perchè a mio avviso l’uomo meritava di essere ricordato. 

 

(tratto da ‘Lessico dell’anima’ di Francesco Gerace, 2020; foto Archivio Storico Tropeano)
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