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di Mimì Giordano –

 

Altre parole del dialetto cinquefrondese che sono sparite dall’uso quotidiano o stanno per farlo.

Canìgghja:  crusca. Proverbio dal dizionario calabrese-italiano del maestro Francesco Laruffa:  li jèstimi su’ di canìgghja, cu’ li manda si li pìgghjja. Le bestemmie  volano leggere come la crusca e tornano indietro a chi le manda. Da canìgghja deriva canìgghjola, cioè fòrfora.

Cannarozza: pasta corta, corrispondente ad esempio ai rigatoni di formato grande, rigati. Termine della pastificazione ante e  post-guerra; la forma è quella cilindrica, come l’esofago e la trachea, detti in dialetto cannarini . I cannarozza  cu lu rragù erano il piatto della domenica di gran parte delle famiglie di media condizione economica.

Cannistra: dal latino canistrum, cioè cestello. Da questo termine deriva il mestiere di  cannistraru,  l’artigiano che faceva cesti e canestri. Noi cinquefrondesi ce lo ricordiamo tutti Michelinu  ‘u cannistraru, sacrestano e anche impegnato a sbrigare pratiche e adempimenti vari per la gente del popolo. Lui cestelli e canestri non ne costruiva, ma suo padre si.

Carcàra: fornace, dove si producevano calce o mattoni. A Cinquefrondi, all’inizio dell’antica contrada Alterusi, negli anni ‘50-‘60 operava la carcàra di Luigi Condoluci, classe 1911, bella figura di lavoratore e padre di famiglia numerosa. Il termine deriva dal latino calcarìa.

Carcarijari:  il verso della gallina dopo aver fatto l’uovo. Verbo di derivazione greca, nella quale lingua significa cantare. I francesi hanno carcailler, che è sinonimo di strillare. Tuttavia nell’uso comune carcarijari serve a indicare il parlare troppo o a voce troppo alta o in tono troppo insistito.

Carusedhu: salvadanaio, piccolo vaso in terracotta, talvolta raffigurante un porcellino, con una fessura sul dorso, attraverso la quale i bambini inserivano soldini in moneta da raccogliere. Partì nei primissimi anni ’40 l’incentivazione al risparmio.

Catafùmaru: stamberga, luogo nascosto, in cattivo stato conservativo.

Catamìsi: sono così definiti i giorni di dicembre, dal 13 (Santa Lucia) al 24 (vigilia di Natale). Da essi, in passato ma per taluni anche tutt’oggi, era usanza trarre annuncio-indicazione delle condizioni meteorologiche dell’anno successivo. Secondo il dialettologo  G.B.Marzano (1842- 1902), i giorni erano così di seguito collegati: il giorno 13 dicembre corrisponde al mese di dicembre dell’anno successivo; il 14 a gennaio;  il 15 a febbraio; il 16 a marzo; il 17 ad aprile; il 18 a maggio, il 19 a giugno, e così via, sino ad arrivare al 24 che corrisponde al mese di novembre.

Insomma, secondo i catamìsi, se il 20 dicembre del 2021 non ha piovuto – ma chi se lo ricorda ? – e c’è stato sereno, non c’è stato vento, anche il mese di luglio 2022 sarà senza piogge, sereno, senza vento e naturalmente con il sole. Sul clima, i catamìsi non si esprimono….Così come dice il termine del greco antico, da cui deriva la parola catamìsi e che significa annuncio, essi, per contadini, pescatori e altri lavoratori sono stati fonte di previsione meteorologica naturale. Naturalmente fra appassionati e dialettologi  esiste qualche discordanza sull’applicazione dei giorni 13-24 dicembre ai mesi corrispondenti, ma io mi fermo all’interpretazione di G.B. Marzano. Vediamo che estate sarà…ma bisognerebbe aver annotato le condizioni meteo dal 13 al 24 dicembre dello sorso anno……

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