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Festa di san Rocco a Cinquefrondi, tempo di intense preghiere e anche di deserti e pagghjaredhi. La devozione dei cinquefrondesi al santo francese è molto forte.
Rocco nacque in un giorno imprecisato fra il 1345 e il 1350 a Montpellier, Francia del sud. A quell’epoca si badava poco alla registrazione precisa dei dati anagrafici e alla loro conservazione. I suoi genitori erano molto benestanti, morirono giovani e il ragazzo ereditò tutto. Ma Rocco lasciò il suo patrimonio ai poveri e si diede alla vita religiosa, entrò nel Terz’Ordine francescano e si diresse a piedi verso Roma.
Ebbe una vita breve ma non gli mancò il tempo di manifestare grandi prodigi, in particolare la capacità di guarire dalle gravi malattie e dalla peste in particolare. Il martirologio vaticano ci dà alcune notizie importanti sulla sua vita: il suo cammino non fu privo di un terribile pericolo, perché a quei tempi (1367-1368) l’Italia veniva colpita dall’epidemia di peste. Invece di scappare o tornarsene a casa, Rocco diede conforto e soccorso ai contagiati, senza mai venire meno al suo naturale istinto per la carità.
La leggenda narra che di passaggio ad Acquapendente (Viterbo), Rocco impartisse la benedizione agli appestati, e la sua mano taumaturgica li portava alla guarigione; tanto che nel paese il morbo si estinse. Raggiunta Roma, si fermò per tre anni all’Ospedale di Santo Spirito, sempre per accudire gli ammalati.
Anche nel suo viaggio di ritorno verso la patria, continuò ad occuparsi dei malati che incontrava, talvolta in modo miracoloso, fermandosi in ogni città in cui l’epidemia stava imperversando. Tali episodi rafforzarono la sua fama di taumaturgo.
Seppur la storia della sua fine viene ritrovata in varie fonti, queste sono spesso in disaccordo sul luogo in cui essa è avvenuta. La tradizione vuole San Rocco ritornato a Montpellier, ma scoperte successive fanno credere che il suo viaggio di ritorno si interruppe in territorio italiano, probabilmente a Voghera. Si trovava di certo in una regione colpita dalla guerra, mentre stanco e cencioso chiedeva solo di poter trovare ospitalità, ma il suo aspetto trasse in inganno e fu imprigionato con l’accusa di essere una spia. Rimase incarcerato per anni (dai 3 ai 5), periodo in cui non si lamentava della propria sorte, ma trascorreva in silenzio, cercando la solitudine e sottoponendosi a privazioni e flagellazioni. Ai suoi accusatori, rispondeva ostinato “sono peggio di una spia”.
Nella notte tra il 15 e il 16 agosto, Rocco incontrò la morte (imprecisato è l’anno tra il 1376 e il 1379), e a nulla valsero le suppliche di quelli che avevano compreso la sua innocenza. Di fianco alla salma di San Rocco fu ritrovata una tavoletta con inciso il suo nome e queste parole: “Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello”. Grazie alla croce rossa sul suo petto, fu infine riconosciuto da una parente. La salma fu deposta in una grande chiesa di Voghera, primo luogo in cui il corpo del santo fu custodito, e che fu anche la base per la diffusione del suo culto.
Nel nostro paese la festa di san Rocco si celebra il 19 settembre anzichè il 16 di agosto come nel resto della Chiesa universale, grazie a una deroga speciale concessa dal vescovo alla parrocchia di Cinquefrondi. Era un 19 settembre infatti, come ricordato dallo studioso Giovanni Quaranta in un altro articolo del sito, quando si verificò quello che è passato alla storia come il miracolo della sudorazione di Cinquefrondi, e che si svolse in tre diverse occasioni, la prima delle quali appunto il 19 settembre (1854). Cui seguì un secondo prodigio: l’epidemia di colera che aveva colpito la nostra cittadina cessò di diffondersi in coincidenza con gli straordinari fatti della sudorazione, i miracoli quindi in realtà furono due.
Ancora oggi san Rocco nella venerazione dei cinquefrondesi occupa un posto di gran riguardo, la memoria del santo viene onorata e celebrata con grande e suggestiva partecipazione, con la novena sempre affollata, la processione con i pagghjaredi, l’allestimento dei deserti nei quartieri, gli ex voto e una devozione che richiama ogni anno tantissima gente anche da fuori paese.
I ‘pagghjaredhi’ sono gli involucri di spine che i fedeli portano addosso per penitenza durante la processione, per un voto speciale al santo, per l’intercessione di una grazia.
La preparazione materiale dei pagghjaredhi è molto laboriosa, l’intreccio dei rami costa tanta fatica ed è spesso doloroso. Le spine naturalmente ci sono ma sono simboliche. Una volta i pagghjaredhi si calzavano a spalle scoperte, quasi a far toccare la pelle viva con le spine, facendola sanguinare. Oggi non avviene più. Ma il gesto di penitenza si ripete uguale a sè stesso ed è sempre molto partecipato da persone di tutte le età.
Il Deserto è la rappresentazione di una scena della vita del santo e viene allestita dai ragazzi agli angoli delle strade, ciascuno nel rione di appartenenza. Le scene dei Deserti ritraggono il santo durante la prigionia, o il suo intervento in favore dei malati, o sono semplici icone. L’acqua che in forma di ruscelletto o di fontanella compare sempre nel Deserto simboleggia evidentemente la vita ma anche il fiume vicino al quale san Rocco edificò la sua baracca durante la malattia.
Insieme con la Processione dei misteri, che si tiene nel giorno di Venerdì santo, il Deserto è l’altro evento della tradizione popolare cinquefrondese che ha per protagonisti i bambini e i ragazzi. Si può dire che non c’è paesano che non abbia partecipato da piccolo, almeno per una volta, alla realizzazione di un deserto.