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Continua il nostro viaggio nei piccoli e grandi segreti del dialetto cinquefrondese, andando alla scoperta soprattutto di quelle parole ormai quasi del tutto scomparse dall’uso quotidiano. Ecco una selezione di parole che cominciano per G selezionate come sempre da Mimì Giordano, grande appassionato della materia, che ormai da tempo ci accompagna in questa particolarissima rubrica del blog.

Come i nostri lettori sanno, la maggior parte di queste parole è fortemente legata alla cultura e alla storia contadina della nostra terra. Queste nuove parole del dialetto cincrundisu, racconta Mimì, sono state scelte alla vigilia di Natale “mentre consumavo le  noci raccolte un mese  prima sui viottoli di campagna, cadute dopo una delle rari notti di acqua e vento di fine autunno dell’anno appena passato. Con esse farcivo alcuni fichi delle due piccole piante della mia campagna, seccati al sole di settembre con cura certosina da mia moglie. Una volta i fichi i secchi e farciti  erano il dolce delle feste delle famiglie di modesta e sobria condizione sociale. Ne assaporavo il profumo, il gusto e le piacevoli sensazioni al caminetto, mentre i meravigliosi legni  d’ulivo ardevano lentamente. Poesia, profumo del passato, nostalgia”.

di Mimì Giordano

Gabedhotu: deriva da gabella che era- ed è tuttora – una forma di fitto in agricoltura. Gabedhotu è colui che prende in fitto dal proprietario il terreno o solamente il prodotto,  ad esempio  le olive.

Gadhijari: fare come il gallo fra le galline, dominando,  facendo un po’ il prepotente, spadroneggiando.

Gàlipu: garbo, destrezza. Da qui galipatu   e anche il contrario,  sgalipatu, nel senso di sgarbato, sgraziato.

 Garghedhata: dal dizionario del  polistenese Francesco Laruffa (1908-1972), besciamella di farina, sale e acqua. Con lo stesso nome è denominata la frittella con detti ingredienti.

Garidha: minuscola dose di sostanza vischiosa che coagula e si risecca intorno alla palpebre procurando un po’ di fastidio e anche di imbarazzo nel presentarsi garidhusu.

Gangularu: ganascia, pappagorgia del maiale, sottomandibola.

Gargiàzza: chiacchierone, di troppe parole, individuo che rivela un segreto, racconta tutto quanto gli viene raccontato.

Garòmpulu: garofano, fiore assai comune e di fragranza fresca e di bellezza cromatica. Veniva usato per accostarlo alla bellezza dell’amata, come ad esempio in questa filastrocca: garòmpulu chi nd’ahi  ‘nu bell’oduri, chi  t’ama e ti disija ‘stu me’ cori, affaccia a  ‘ssa finestra,  a  ‘ssu barcuni, affaccia  ‘mu ti dicu du’ palori.

 Ghaghòmulu: fragola, soprattutto quella silvestre, selvaggia. Questa è una parola con due varianti di pronuncia: nelal prima,  la g iniziale si sente appena appena; nella seconda, la g è completamente assente e la parola si pronuncia con una aspirata iniziale, in pratica come fosse scritto Hahomulu.

Gharrubba: frutto della carrùbba, tipico siciliano, detto anche ferrùbba. A Cinquefrondi è un simpatico nomignolo.

Gghjòmmaru: gomitolo, in senso traslato qualcosa di aggrovigliato, di intricato, imbrogliato.

Giustunedhu: piccolo cesto (o cesta) in cui si sistemavano soprattutto generi alimentari. Dal latino cistŭla

Gnacculijari: piagnucolare,come fanno i bambini, a volte senza un motivo,per capriccio. Da questo termine deriva gnacculusu, (piagnucoloso).

Gnemmignemmi: Non è una parola vera e propria ma un inoffensivo epiteto per descrivere una persona flemmatica, lenta nel parlare e nel muoversi o nel prendere decisioni

Gìgghiu:  germoglio, ma anche parte anatomica, precisamente il sopracciglio.

Gnuri: Deriva da signori, notabili, persone di  condizione sociale alta, spesso possidenti. I loro comportamenti tendevano generalmente a mantenere un po’ le distanze dalle classi sociali meno abbienti e meno acculturate.                                          Come in tutti i paesi… anche a Cinquefrondi  nc’eranu  ‘gnuri  di comportamentu e ‘ gnuri  malati  i    m…….

Grattugghjari: solleticare, titillare. Dal francese chatouiller ( solleticare).

Grìngia: smorfia. Era il modo in cui, di nascosto dalla mamma, un fratello insultava l’altro o la sorella, o viceversa. E allora..  “  Jmà, vi’ ca Peppi  mi fici ‘a grìngia. Non m’assa stari…Mìnanci ! ” E nelle serate d’inverno, nel chiuso delle case paesane il tempo passava anche così….Fra ‘na gringia e l’altra, fratelli e sorelle attorno al braciere. Altri tempi, altra vita.

 

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