Questa notizia è stata letta 370 volte

Eccoci alla 19ma puntata della nostra rubrica con le vecchie parole del dialetto cinquefrondese, molte delle quali ormai quasi del tutto sparite dall’uso quotidiano. Stavolta sono di scena i termini che cominciano con la J, ce ne sono tantissimi e fra quelli che proponiamo ce ne sono alcuni che appartengono davvero al passato remoto. Alzi la mano chi ha sentito o pronunciato di recente la parla jazzu o jenca o jersu. Poi ci sono anche casi, come quello del verbo jettari, che si prestano a più significati a seconda delle parole con le quali si accompagnano. Buona lettura

di Mimì Giordano

Janèstra o Jinèstra : ginestra, giunco. Pianta dal fusto non molto resistente.

Jàzzu: giaciglio per le pecore nella stalla, nell’ovile. Dal latino Jaceo (verbo Jacere).   Espressione dei pastori rivolta alle bestie nell’ora serale in cui dovevano rientrare nell’ovile: a lu jazzu, a lu jazzu! Un’altra espressione che ho sentito a  Cincrundi da una persona anziana la quale intendeva che il proprio figlio dovesse provvedere da sè a  sistemarsi la propria dimora, il proprio  giaciglio: sarrìa ura pe’ Peppi ‘mu s’acconza lu jazzu !

Jècca : espressione di nausea jecca mia, chi schifu !

Jènca:  giovenca,vacca di un anno, ben fatta. In dialetto e in senso traslato, una ragazza  bella, alta e formosa.

Jermanu: nome calabrese della segale, il cereale rustico con cui si fa il pane scuro; è ricco di  fibre,sali minerali e proteine. Si tratta di una varietà che si  adatta  bene a climi freddi. Probabilmente la segale è stata introdotta in Italia dai germani (tedeschi) nella prima  guerra  mondiale e da cui il nome.  Aspromonte e Sila sono i posti dove si coltiva ‘u  jermanu (segale).Non  molto distante da Cincrundi, a Canolo, è attiva la coltivazione  della segale e lì viene  prodotto l’eccellente pane di jermanu, mangiabile anche dopo 5-6 giorni e le croccanti friselle. Esiste un’altra ipotesi sulla  provenienza del  nome che lo farebbe derivare dallo spagnolo Jermano (fratello) in quanto cereale “fratello” del grano.

Jersu:   terreno agricolo non coltivato, in stato di abbandono.

Jèsima:  brina nottura e mattutina gelata, dannosa per le colture. Questa parola è  utilizzata nel nostro dialetto non solo per indicare una sorta di malattia degli ortaggi, ma anche per  sottolineare l’aspetto di  una persona in cattivo stato di salute, il cui aspetto lo evidenzia. Un’espressione ascoltata:  ” Mastru Melu  parìa  ‘ngnjesimatu  quandu  cumparìu a lu puntuni di lu Castedhu”.  

Jettàri: gettare, lanciare. Attingendo dal dizionario Calabrese-Italiano del maestro  polistenese Francesco Laruffa (n.1908 – m. 1972) propongo alcune   espressioni con questa  parola.

Jettàri la botta:  lanciare una proposta, fare un’allusione.

Jettàri cantuneri: dire cose balorde,esagerate e sbagliate.   

 Jettàri l’àmaru: figurativamente gettare l’amo per attirare; adescare                                                                                           

Jettàri l’occhîmettere gli occhi su una ragazza, per conquistarla

Jettari l’occhiu:     adocchiare; è un’espressione superstiziosa,popolare

Jettàri ‘nterra:       svalutare una persona o un’azione, un oggetto. Ridimensionare una persona “montata di testa”

Jettàri sangulavorare,faticare senza risparmiarsi, sacrificarsi per un obiettivo

Jettàri sicculanciare il malocchio, annichilire con occhi invidiosi.

Jettàri ‘ u bandu:    divulgare una notizia senza riservatezza; bandire. Era il modo di informare la popolazione con cui Cucudhitu ‘u bandituri   sino a fine anni ’50  a Cincrundi precedette l’utilizzo di megafoni ed altoparlanti, anche perché  i rumori del traffico automobilistico all’epoca erano ancora molto ridotti.

Jettàri ‘u cinqu: rubare

Jettàri ‘u pigulu:   portare jella, infastidire con racconti piagnucolosi, lamentosi.

Jettùmi:   germoglio,pollone della pianta lasciato dalla secchezza o dalla potatura dei rami. Un detto che esprime una similitudine fra  la  pianta e l’uomo è questo:  l’àrburu sicca e dassa jettùmi comu lu patri cu figghj e niputi.     

Jìffulu:   schiaffo sonoro, ma anche un calcio forte al pallone.

Jìma (oppure Imà): mamma, nel dialetto popolare  cincrundisu

Joculanu:  giocoso, allegro

Jùsu: giù, in basso, in campagna. Verso la parte bassa delle contrade del paese.

Jùtu:  malandato, spacciato, senza speranza.

 

Non è possibile copiare il contenuto di questa pagina.