Questa notizia è stata letta 602 volte

Eccoci a una nuova puntata (la ventesima) della nostra rubrica dedicata alle parole del dialetto cincrundisu che sono scomparse o che stanno per farlo un poco alla volta, senza che noi nemmeno ce ne accorgiamo. Questa volta è di scena  la lettera L, e dunque ci occuperemo di termini come lamijari, lapparu, limbà, luntruni e tante altre che difficilmente capiterà di sentire durante una conversazione dei nostri giorni.

di Mimì Giordano

Lamijari: patire, languire, vivere nell’estremo bisogno.Tipica l’espressione: amàru lamija di la fami ! 

Lampa:  bicchiere in vetro nel quale si versava acqua e olio non commestibile  su cui galleggiava un lumino. Dalla parola lampa deriva il  termine “lampante” con cui si classifica un olio d’oliva di scarsa qualità e di acidità superiore ai 2 gradi. Un tempo l’olio “lampante” serviva per  l’illuminazione cittadina. Fino a qualche decennio addietro nelle famiglie si accendeva la lampa davanti a una foto sacra o a quella di un familiare defunto.

Lampu: lampo, come evento meteo ma anche baleno, sinonimo di velocissimo, folgorante. Imprecazione che talvolta si sentiva nelle vie del nostro paese: lampu ‘mu ti stocca a tàgghju d’acqua        

 Lardaloru:   grasso. Gioveddì di lardaloru (giovedì grasso). Proverbio: giovedì di lardaloru, cu’ non nd’avi carni si ‘mpigna ‘u figghjolu. Giovedì grasso, chi non ha carne (perché povero) per poterla avere manda a lavorare il proprio figliolo dal macellaio, che compensa la famiglia con la carne.

Làpparu: carne floscia del fianco della vaccina, con pelle,grasso e nervi. In senso traslato, nel nostro dialetto si usava questo termine per indicare un grosso errore, un modo di parlare sgrammaticato.

Làsticu: persona un po’ matta, elastico di testa; con lo stesso termine viene anche indicato un normalissimo elastico di gomma.

Lavanàriu: pettegolo, sfaccendato

Lèsina:  attrezzo del calzolaio per fare buchi nella pelle e nella suola, nel quale si inserisce lo spago per cucire. La parola lèsina è anche simbolo di avarizia e di spilorceria e ciò probabilmente è attribuito al fatto che nella Firenze del XVI° secolo operò una compagnia teatrale di avari immaginari  detta  la “Compagni  della lèsina”, che doveva celebrare il risparmio e lo strumento  doveva servire ai componenti la compagnia per  provvedere da sé a riparare scarpe e ciabatte. A Cincrundi siamo soliti definire un tirchio con l’espressione:  è ‘na lèsina !

 Lèussu: altro termine simile a làsticu per definire un individuo esaltato, mezzo matto, appunto leso  di testa.

Levàri:  Levare, togliere, portare. Ma anche sposare o accompagnare al camposanto. Tipica l’espressione cincrundisa: L’amàru Micheli moriu stamatina, ‘u lèvanu domani.

Levàtu:  lievito. Acido che procura la fermentazione dell’impasto per fare il pane accentuandone la consistenza. Dal latino levare (nel seno di alzare, gonfiare)

Libbarandisdomini: Popolare espressione per dire Dio ce ne liberi.  Dal latino libera nos, Domine

Liggistrari:  riordinare, mettere a posto. Da questo termine deriva liggìstru (registro) e liggistrusu  (ordinato)

Lignàggiu: lineamenti del corpo a cui si attribuiva una sorta di ereditarietà.

Limasurda: ipocrita, individuo che opera senza farsi notare e non sempre con buoni sentimenti.

Limbà: Lumacone senza guscio

Lindanedha: rondinella

Lippu: strato melmoso, verdastro a causa di acque stagnanti e che si attacca alla grosse pietre dei torrenti. Dal dizionario calabrese-Italiano del maestro Francesco Laruffa (1908-1972):  la petra chi non faci lippi, si la leva la χiùmara .  Vale a dire, chi non ha forza e resistenza  viene travolto dalle difficoltà.

Liri: arcobaleno

Lizzu: cavillo, pretesto, intrigo.

Loìggi: nome proprio di persona Luigi

Lona: diminutivo del nome proprio di persona Leonardo

Longarijari: andare per le lunghe, attardarsi, temporeggiare.

Luntrùni:  tipo con poca  cura e poca pulizia.

Non è possibile copiare il contenuto di questa pagina.