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La prima volta è andata bene, benissimo. Dunque perchè non riprovarci ? così la inossidabile coppia di vita e di scrittura formata da Loredana Mazzone e Beppe Liotta è tornata in libreria con un nuovo romanzo. S’intitola ‘Mio padre era figlio unico’ (Corsiero Editore, 120 pagine, 18 euro, acquistabile su Amazon) ed è uno spassosissimo viaggio nella storia presente e passata del pecoraio Tano, un siciliano mezzo acculturato e mezzo arriccuto, e dalle mille idee, alla guida di una famiglia assai estroversa.

Loredana Mazzone, una delle firme di questo libro, è calabrese e nostra amica; vive in Sicilia ma è nata a Mammola, sua madre Rita Macrì è di Cinquefrondi, appartiene alla numerosa casata dei ‘casulari‘ (peraltro sorella di Antonio che fu sindaco di Cinquefrondi decenni addietro) e vive nel nostro paese insieme all’altra figlia Antonella, con la quale gestisce un negozio di alimentari (ne abbiamo già parlato qui https://www.cinquefrondineltempo.it/un-libro-divertente-per-lestate-firmato-da-una-scrittrice-di-origini-cinquefrondesi/) .

Loredana e Beppe con questo nuovo libro scritto a quattro mani continuano quella che potrebbe diventare una saga letteraria: dopo aver pubblicato ‘Ho scritto Tano sulla sabbia’ che è diventato il tormentone dell’estate 2022 sui social, con conseguente e sorprendente successo di critica e di vendite, hanno deciso di far vivere ancora il loro personaggio, conquistandosi un posto in prima fila anche nell’estate del 2023, che ha visto tanti amici e lettori alle prese con il libro, e poi recensioni e commenti a raffica.

Importante è avere l’idea, che deve essere buona, poi, il resto si sistema !“: dice Tano nel libro, sforzandosi di parlare in italiano. Mai parole furono più appropriate per il duo Mazzone-Liotta, che dalla bella Acireale si sono inventati dal nulla, un giorno che erano in spiaggia, un personaggio e un filone che stanno piacendo al pubblico, più di quanto loro stessi forse sperassero.

In questo libro c’è molto del carattere dei suoi autori, brillanti e divertenti anche nella vita reale, con uno spiccato senso dell’ironia e uno sguardo sempre attento sui dettagli, da cui trarre ispirazione per un’idea, un progetto, una storia. Due persone che non si annoiano mai, esattamente come Tano che dal cilindro della sua anima estrae di continuo idee e riflessioni amare e allegre, divertenti e profonde; mentre la presenza e le punzecchiatue di figli e moglie, lungo le pagine del libro, sono in realtà il pretesto per mettere in luce l’enorme carico di umanità che il pecoraio si  porta dentro. Una umanità che in reatà è quella di ciascun uomo. In fondo tutti siamo un pò Tano. Non a caso i due autori hanno commentato in una recente intervista che  il pecoraio siculo “fa i conti con il proprio passato, e ognuno di noi, leggendolo, rivive la propria storia personale”.

La seconda puntata delle vicende di Tano comincia con un viaggio all’indietro nella memoria storico-familiare del protagonista, con l’esilarante ricordo della propria nascita; il pecoraio s’interroga sulle sue radici e su ciò che ha umanamente e geneticamente ereditato non tanto dal padre, bensì dal nonno. Cosa che lo rattrista e gli suggerisce una riflessione amarissima pur nel contesto allegro del libro: “…che figura faccio fare alla figura paterna ? Di nenti ammiscatu cu’ nuddu ? ! “. Seguono una serie di avventure divertenti il cui dettaglio vi risparmiamo per non spoilerare il libro.

Possiamo però aggiungere che rispetto al primo volume delle avventure di Tano, con contorno di figlie ironiche e in carriera, e di moglie finto burbera, ma in realtà complice, i due ingegnosi scrittori hanno aggiunto un ulteriore pizzico di sicilianità al testo: molti dei dialoghi sono infatti scritti in dialetto siculo. Questa tecnica ricorre spesso nella letteratura del nostro tempo, proprio in Sicilia ha un illustre esempio in Camilleri, il ‘papà’ del commissario Montalbano. In ‘Mio padre era figlio unico’ l’aggiunta di sicilianità linguistica si pone come una innovazione leggera e divertente apparentemente innocua, ma invece utilissima a immergere ancora di più il lettore nei luoghi e nel mondo di Tano.

Se Lorendana e Beppe avessero scritto il loro romanzo utilizzando solo la lingua italiana, si sarebbero perse tante sfumature della storia, molte cose non si sarebbero potute apprezzare, ne mancherebbe davvero un pezzo. Ecco un esempio: in casa di Tano c’è una discussione, le figlie mettono in mezzo il padre, lo sfottono affettuosamente per alcune cose che lui ha scritto in un diario su cui hanno messo le mani, lui ne è un pò dispiaciuto, si sente incompreso, e si chiede da chi ne abbiano preso quelle figlie così indisponenti. Quando la discussione ha termine, il pecoraio commenta amaramente con la moglie quella mancanza di rispetto delle figlie: “Pari ca’ i ricugghiemmu ammenzu ‘a strada”. Come rendere meglio di così lo sconforto tutto siciliano di quel pover’uomo per la ferita inferta al suo senso di pater familias ?

Al lettore dunque, dopo aver superato la sorpresa delle prime pagine alle prese con questo dopio binario linguistico, sembrerà di non essere più a casa propria, ma in qualche piccolo paese della Sicilia, e di sentirne gli odori e i rumori, e tutto quel contorno di elementi che costituiscono il mondo e il paesaggio umano in cui vive il pecoraio brillante e furbissimo creato dalla fervida fantasia di questa coppia, che ha già all’attivo una discreta un’esperienza, maturata anche singolarmente negli anni passati, con romanzi e altri scritti. Che altro dire ? ora aspettiamo per l’estate 2024 la terza puntata delle avventure di Tano.

 

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