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di Francesco Tropeano

 

A questo punto vengono messi in mezzo i quattro cognati calabresi… Sono quattro cognati: sono venuti dal paese a sposare quattro sorelle compaesane emigrate da queste parti, e fanno banda un po’ per conto loro, sotto la guida di Duca che è il più anziano e sa farsi rispettare. Duca ha un berretto tondo di pelo abbassato su uno zigomo e dei baffetti dritti sulla faccia quadrata e fiera. Porta un pistolone austriaco infilato alla cintura: basta che uno lo contraddica perché lo squaderni e glielo punti sullo stomaco, masticando una frase truculenta in un suo linguaggio rabbioso e pieno di doppie e strane desinenze…” ( Italo Calvino: Il sentiero dei nidi di ragno)

Quando sentiamo parlare di Resistenza, il pensiero corre automaticamente al biennio 1943-45 e la vulgata dominante ci rappresenta la lotta di liberazione limitata alle regioni italiane del centro nord. Ed effettivamente potrebbe sembrare così. Ma se ci poniamo la domanda: c’erano partigiani meridionali che combattevano nelle fila della resistenza armata? La risposta ci sorprenderà e non poco. Nel solo Piemonte sono stati censiti ben 7922 partigiani provenienti dal sud Italia di cui 487 dalla provincia di Reggio Calabria. Un esercito di giovani che ha contribuito in maniera decisiva alle sorti vittoriose della guerra di liberazione dall’occupazione nazifascista.

Purtroppo i fiumi di retorica che in questi anni hanno accompagnato le manifestazioni e le ricorrenze del 25 aprile hanno trascurato, se non seppellito, questo aspetto rilevante della Resistenza. Eppure nell’archivio del Ministero della Difesa i nomi, le vicende, l’inquadramento militare di questi partigiani meridionali era noto da quasi ottant’anni, dall’immediato dopoguerra. Nessuno lo ha mai valorizzato, privilegiando una narrazione conformista che fa della Resistenza un affare del nord e delle popolazioni settentrionali.

Nei nostri paesi non c’è comune che non abbia una lapide per i caduti della prima guerra mondiale. E i caduti della seconda guerra mondiale? Probabilmente sono figli di un dio minore. Tanti sindaci, ma anche tante cosiddette associazioni ispirate alla Resistenza, che si fanno i gargarismi quotidianamente con le frasi fatte sull’antifascismo e sulla retorica pacifista, hanno mai pensato ad onorare la memoria delle vittime della seconda guerra mondiale?

E’ stata una carneficina. Non ci sono numeri assoluti, ma stime molto realistiche. Da sole, alcune campagne della seconda guerra mondiale costarono al popolo italiano un tributo insensato di vite. La Campagna italiana di Grecia ebbe inizio il 28 ottobre 1940, quando le truppe del regio esercito italiano, partendo dalle proprie basi albanesi, entrarono in territorio ellenico. Indro Montanelli definì la campagna di Grecia una smargiassata di Mussolini. La smargiassata costò all’Italia 13.755 morti, 50.784 feriti, 12.638 congelati, 25.067 dispersi, 52.108 invalidi.

Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, spesso abbreviato come ARMIR, furono le formazioni del Regio Esercito inviate sul fronte orientale tra il luglio del 1941 e il gennaio del 1943. La partecipazione alla guerra contro l’Unione Sovietica rappresentò uno sforzo notevole per le forze armate italiane, già duramente impiegate nei Balcani e in Africa settentrionale, e le ingenti perdite subite rappresentarono un duro colpo per le capacità militari dell’Italia. Dei 227.000 partiti per la Russia, 100.000 non tornarono, 30.000 i ricoverati negli ospedali, feriti o assiderati. Gli alpini subirono perdite durissime. Dei 16.000 componenti la Divisione Giulia, 12.600 morirono o furono fatti prigionieri. Dei 17.000 uomini della Cuneense, ne tornarono in Patria solo 1300.

Si stima che gli italiani coinvolti nel secondo conflitto mondiale dal 1940 al 1943 furono 3.430.000.
Il numero dei morti a causa della guerra fu molto elevato: tra 415.000 (di cui 330.000 militari e 85.000 civili) e 443.000.  La guerra di Liberazione e la Resistenza coinvolsero 340.000 partigiani (fino al 25 aprile 1945), 379.000 militari del Corpo Italiano di Liberazione impegnati con le Forze Alleate. Gli internati e i deportati in Germania 600.000. I caduti dal 1940 al 1943 furono 197.208 (194.000 militari, 3.208 civili), cui vanno sommati le vittime dei bombardamenti (…le bombe buone) aerei anglo-americani 28.066 (3.066 militari, 25.000 civili). I militari feriti e invalidi sui vari fronti e per l’intero periodo bellico (1940-1945) furono circa 320.000. I militari fatti prigionieri dalle forze anglo-americane sui vari fronti (1940-1943) furono circa 621.000.

Così anche per i partigiani meridionali, il sud dimentica i suoi figli. Quei figli che pur costretti a lasciare la propria terra, per mille motivi, la portano invece per sempre nel cuore in ogni angolo sperduto del globo.

In linea di massima si può dire che i partigiani di origine meridionale che ritroviamo nelle file della Resistenza appartengono a percorsi diversi.

Per la maggior parte sono militari che si trovano all’8 settembre 1943 a prestare servizio nel regio esercito, nei vari presidi distribuiti nelle regioni centrosettentrionali. La crisi delle forze armate è drammaticamente rapida. I soldati sbandati non possono rientrare nelle loro case come tenteranno di fare i loro compagni che si trovano nelle regioni meridionali. Queste circostanze fanno sì che una parte significativa di questi soldati venga catturata dai tedeschi e deportata nei campi di concentramento in Germania, dove vivranno l’esperienza di una prigionia senza diritti che i tedeschi riservano ai militari italiani catturati, collocandoli nella ambigua e umiliante categoria “speciale” di Internati militari (gli IMI). Un’altra parte troverà asilo specialmente nelle campagne delle regioni centrosettentrionali, dove finirà per sostituire le molte braccia che la guerra ha sottratto ai lavori dei campi, mentre una parte più piccola troverà altre soluzioni lavorative nell’industria e in altre attività. Infine un numero significativo di giovani sarà coinvolto nello scontro politico militare e civile che si apre all’8 settembre. Tra questi alcuni risponderanno alle cartoline precetto della RSI, altri entreranno invece nelle formazioni della resistenza.

Una seconda componente di partigiani di origine meridionale è costituita da coloro che, nati nelle regioni del sud, erano giunti nelle altre regioni con i flussi migratori da sud a nord, flussi che non si fermano, malgrado la legislazione fascista nel corso del ventennio cerchi di controllare e scoraggiare gli spostamenti interni di popolazione. La parte più giovane di questa componente (i nati negli anni Venti) presenta percorsi di entrata nelle formazioni partigiane del tutto simili a quelli dei coetanei centrosettentrionali.

Una terza componente è costituita da immigrati di seconda generazione, quella di giovani, nati in famiglie di immigrati, che si sono inserite prima o durante gli anni Venti nel contesto centrosettentrionale, soprattutto attraverso l’attività lavorativa, con una densità più evidente nelle aree industrializzate. Per questi l’origine meridionale è di difficile individuazione, emerge quando le vicende del singolo, o politiche o militari, la rendono “visibile”.

CINQUEFRONDESI NELLE FORMAZIONI PARTIGIANE

 

Nell’immediato dopoguerra, in ottemperanza all’’articolo 1 del d.l.l. 518/1945, si disponeva la costituzione di 11 Commissioni regionali nominate dal Presidente del Consiglio dei ministri su designazione del Ministero dell’assistenza post-bellica, del Ministero della guerra e dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Queste Commissioni avevano come compito precipuo quello di censire gli appartenenti alle formazioni partigiane. Per molti decenni il risultato del lavoro delle commissioni rimase archiviato negli schedari del Ministero della Difesa. Da alcuni anni, questo fondo archivistico è stato riversato nell’Archivio Centrale dello Stato ed è divenuto quindi consultabile. Non sempre,  però,  i parametri di ricerca sono univoci, nel materiale delle varie Commissioni, pertanto, partendo dal luogo di nascita, solo poche commissioni permettono una ricerca mirata. Infatti i quindici nominativi trovati appartengono soprattutto alla Commissione piemontese e laziale.

E tra i quindici troviamo uno spaccato della nostra società di allora. Infatti si va dal poco più che trentenne, impiegato Raffaele Bulzomì, nome di battaglia Adone, al quarantenne Carmelo Bellocco, al trentenne Raffaele Gallo, poliziotto, con il nome di battaglia Confalonieri, all’operaio Salvatore Galluzzo, ventisettenne che, partito da una viuzza del cafio, destinazione Piemonte, si arruola nelle formazioni partigiane, ma viene arrestato, il 14/12/1944, dai Cacciatori degli Appennini, unità militare fascista in funzione antipartigiana, e consegnato ai tedeschi. Riesce ad evadere e ritorna nella quinta Divisione Alpi, formazione partigiana vicina alle posizioni politiche di Giustizia e Libertà.

Non mancano i braccianti, come Vincenzo Marzo, appena 23 anni, nome di battaglia Cinquefrondi ed il figlio del ciabattino di Piazza Castello Franco Sergio, fucilato a Serravalle Langhe il giorno di San Valentino dell’anno 1945. Ne abbiamo parlato a questo link: https://www.cinquefrondineltempo.it/franco-sergio-il-partigiano-di-cinquefrondi-giustiziato-nel-giorno-di-san-valentino/ in occasione della pubblicazione del bel volume di Aldo Polisena dedicato proprio alle tragiche vicende di Franco Sergio, nome di battaglia Alioscia, che anche la famosa partigiana Tersilla Fenoglio (Trottolina) ricorda con affetto nelle sue memorie. In ricordo di Franco Sergio, la pittrice cinquefrondese Emma Guerrisi, ha dedicato un meraviglioso dipinto.

Franco Sergio ritratto da Emma Guerrisi

 

E poi c’è Michele Carlino, omonimo e zio del noto giornalista Rai, che, neanche trentenne, ha militato nelle formazioni militari partigiane del PCI romano, comandandone  perfino una  squadra. Suo fratello maggiore Raffaele arrivò addirittura ad essere Vice Comandante di Brigata nelle stesse organizzazioni armate.

Infine nell’elenco dei partigiani combattenti cinquefrondesi troviamo Peppino Galatà, nome di battaglia l’Americano, padre di Eraldo. Autore a fine anni ’70 di una clamorosa quanto solitaria contestazione ad un comizio del MSI in piazza della Repubblica, allorchè l’oratore cittanovese ebbe ad usare parole di spregio verso le formazioni partigiane. Un gruppetto di noti antifascisti, che in un angolo della piazza, assisteva al comizio, lo dovette prendere di peso e trascinarlo a casa, mentre, furente, scuoteva il palco, schiumando di rabbia.  Negli anni della guerra, nella sua casetta a S.Maria, in via Diaz 15, arrivò la tanto temuta cartolina precetto: destinazione Marina Militare.

E nella Marina fu assegnato alla mitica, poi famigerata, Flottiglia MAS, come capo segnalatore. Ma nella primavera del 1944, quando il suo reparto si era ormai trasformato  da eccellenza militare a bieco strumento di repressione a fianco dell’esercito nazista, venne naturale disertare ed unirsi alla 15° Brigata Partigiana piemontese, dove gli fu riconosciuto il ruolo di capo distretto. Finita la guerra tornò a Cinquefrondi, al suo fianco Anna, una ragazza piemontese con cui aveva condiviso la militanza nella formazione partigiana. Purtroppo, proprio nel nostro paese, Anna Palmero morì giovanissima, appena quarantenne.

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