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di Mimì Giordano

 

 

Scutrinari – questa è una parola tipicamente cincrundisa. Significa trovare, scovare, arrivare a una soluzione. La si usava nel linguaggio comune e popolare, quando magari una persona istruita e pratica riusciva a rovistare fra documenti, atti amministrativi, previdenziali e veniva in soccorso di chi non era in grado di poter risolvere da sè il problema

Sgamari – mettere una persona davanti alle proprie colpe dopo aver parlato;  cogliere in  una persona  un comportamento sbagliato, cogliere in fallo qualcuno. A volte ciò avveniva interrogando abilmente la persona e adottando una tattica verbale per far emergere la verità celata e il comportamento fraudolento.

Spiccicari – Staccare, distaccare per esempio un francobollo da una busta. Significa anche imitare, rassomigliare.  “’Stu cotraredhu è spiccicatu patrisa!” questo bambino è quasi identico a suo padre Spiccicari viene usato anche per indicare una persona che non sa spiegarsi: no spiccicau na palora

Spizziculijari – mangiare piano e imboccando pezzettini di cose gradite, centellinandole per assaporarne maggiormente il gusto e prolungare il godimento. L’origine della parola è spìzziu, che significa appunto godimento, diletto

Sporta – Cesta di legno di castagno intrecciato che serviva per trasportare ulivi e cereali, ma a metà  anni ’30 anche trasportare pietre che servivano per  l’armaceri ( i muri a secco che si costruivano nelle nostre montagne; ricordo che mio nonno mastru Pietro Giordano ne realizzò moltissimi con i figli e gli operai della ditta di famiglia). Una nota personale: conservo ancora le sbiadite foto, scattate artigianalmente che ritraggono delle donne di San Giorgio mentre portano le ceste in testa piene di pietre; conservo anche ed in buono stato le loro tessere con fotografia dell’abbonamento alla littorina (Ferrovie calabro lucane dell’epoca). Purtroppo nessuna delle persone sangiorgesi interpellate mi ha saputo fornire notizie degli eredi di quelle donne, ai quali vorrei regalare quelle tessere con foto.

Spundacari – aprire anzi spalancare porte e finestre

Sputazza – saliva. Da sputazza deriva anche l’avverbio sputazzata, che è uno sputo a volte con intenzioni offensive

Squèdu – unità di misura agricola corrispondente a circa 2,3 litri e a 1/32 di tomolo che era di  circa 62 litri

Stàbbuli – fondo rustico, proprietà terriera

Stagghjàri – arrestare il flusso dell’acqua nei “surchi” (i solchi) predisposti per l’irrigazione e per deviarne il corso. Si usa questo termine anche per descrivere l’arrestarsi della fuoriuscita del sangue a causa di una ferita. “’Menu mali ca a Micheli, doppu chida springa chi si fici ‘n campagna ’u sangu nci stagghjàu prestu”

Stàgghju – sta per fermata, punto di sbocco di una via e o di un vicolo. Tipica la frase “L’aspettau ‘o stàgghju” nel senso che facendo un percorso per vie traverse l’uno aspetta l’altro a un punto preciso per vederselo volutamente di fronte. Non sempre quest’azione aveva buone intenzioni. Metaforicamente significa attendere una persona al varco per vendicarsi di una malefatta senza azioni violente, verbalmente. Ma stàgghju è anche un termine che riguarda una antica modalità di accordo fra le parti per la conduzione in fitto di un terreno agricolo a particolari condizioni

Stendicchîari – stendersi, stirarsi, allungare gli arti, immobili per diverse ore o stanchi; stirare anche i muscoli; oggi si dice fare stretching ; una volta, quando c’era fame si soleva dire questo proverbio “La fimmana vanitusa si canusci a l’occhî e l’omu mortu di fami a li stendicchî ”. Stendicchiari è usato anche per indicare in modo diciamo così colorito la morte di una persona: Peppi stendicchiau.

Stìcchîa o stìcchîu – organo genitale femminile. La parola “sticchio” deriva dal latino osticulum, diminuitivo di ostium (porta,piccola porta). Da ragazzi, da giovani, quando si voleva descrivere una bella ragazza, si diceva un po’ volgarmente: “ tizzia è ‘nu bellu pezzu di ……”

Stuppedhu – antico contenitore in legno o acciaio che fungeva da unità di misura corrispondente a  1/8 di tomolo.Filastrocca: ” Chsta è la casa di lu zi’ Furtunatu: cu’ zoppu, cu’ ciùncu e cu’ malatu.    Unu nc’eni capacedhu, ma nd’avi ‘na guadhara quantu ‘nu stuppedhu.

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