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Ciccio Alì e Mico Burzese
Impossibile dimenticare nella strada principale di Cinquefrondi i titolari di due saloni di barberia che nella seconda parte del secolo scorso, e senza nulla togliere a tutti gli altri loro colleghi del tempo, hanno rivestito un ruolo pubblico di assoluto primo piano: Mico Burzese e Ciccio Alì.
I loro saloni sono stati due luoghi storici della memoria cittadina, per motivi differenti, pur svolgendo la stessa attività.
Ho definito storici questi due barbieri perché in effetti furono due grandi personaggi. Burzese era anche un politico molto impegnato nel partito comunista, fu grintoso consigliere comunale per una vita, ininterrottamente dal 1948 al 1978 (e anche assessore più volte) e il suo salone, aperto negli anni ‘50, era anche ritrovo di compagni di partito, ma non solo di quelli, e lì si facevano e disfacevano strategie politiche, alleanze e amministrazioni comunali, si gestivano e costruivano candidature, campagne elettorali e caccia al voto. Si leggeva e diffondeva l’Unità, di cui Burzese era affezionatissimo lettore e propagandista, si chiacchierava tanto, come si usa nei saloni del nostro sud e c’era tanto dibattito politico, perché Mico era anche un bravo mastro e, benchè fosse ideologicamente di parte, aveva tanti clienti con idee politiche diverse o opposte rispetto alle sue, quindi il servizio barba e capelli comprendeva pure il confronto e la discussione, talvolta la polemica accesa, specie quando si avvicinavano le scadenze elettorali.
Mastro Mico Burzese (il terzo da sinistra) con il figlio Turi, Angelo Nocera e un cliente
Era un uomo pratico Burzese, tutto politica e lavoro, con un occhio attento per i suoi ragazzi da crescere, in un contesto difficile: Cinquefrondi era un paese povero e i barbieri di paese non si sono mai arricchiti. Neanche lui lo fece, ma si guadagnò stima e rispetto per la sua condotta, anche da quanti non condividevano i suoi ideali politici.
Quando il Consiglio comunale veniva convocato di sabato, cioè molto spesso, Burzese non esitava neanche per un momento sul da farsi: mollava la gestione dell’esercizio al figlio giovanissimo Turi, e correva al Consiglio, pur sapendo che quella sua assenza poteva costare anche la perdita di qualche cliente, il sabato infatti come tutti sanno è giornata di massimo impegno per i barbieri, e l’assenza del mastro e talvolta l’accumularsi dell’attesa a volte faceva spazientire qualcuno. Mico anteponeva l’ideale politico e la partecipazione all’impegno pubblico, anche ai suoi interessi economici personali. Una dedizione totale, cumulata con quella al partito comunista, che era una sorta di figlio aggiunto, del quale si occupava e preoccupava con grande accanimento. Non perdeva una riunione, sapeva tutto di quel che vi accadeva, i vecchi militanti ricordano tante tempestose riunioni nelle quali il focoso Mico faceva valere energicamente le sue opinioni, e di sicuro nel grande partito rosso non c’era nulla che potesse accadere a sua insaputa.
Erano altri tempi, il confronto si faceva guardandosi in faccia, anzi negli occhi, e le idee camminavano con il confronto continuo fra le persone, a volte con litigate furiose o alzando la voce. Era una politica sanguigna e genuina, nella quale si scontravano caratteri e personalità, e le rivalità covavano sotto la cenere a volte per lunghi periodi, per poi esplodere d’improvviso, specie al momento della presentazione delle liste. Ma c’era anche gran rispetto fra le persone e una dignità, anche nel linguaggio, che oggi paiono cancellati. Non c’erano i telefonini e i leoni da tastiera a inquinare i rapporti e a spargere veleni e propaganda tramite i social; il contatto fra militanti ed elettori era personale, quasi fisico, in gioco c’era la credibilità delle persone, c’erano partiti cui rendere conto di scelte e opinioni. E a quel tempo non c’erano nemmeno i selfie a immortalare ogni singolo starnuto; selfie che hanno certo molto modernizzato e spettacolarizzato la vita attuale per certi versi, ma per altri l’hanno anche impoverita e inaridita.
La famiglia Burzese dal 1948 ha sempre avuto un suo rappresentante nel Consiglio comunale. Come detto, per i primi trent’anni il protagonista stato il vecchio Mico, che alal fine degli anni ’70 ha scelto di ritirarsi dopo tante battaglie, e siccome intorno a lui si è sempre mangiato pane e politica, è stato quasi naturale che in famiglia ci fosse un altro Burzese pronto a mettersi in gioco nelle liste del partito comunista. Quell’anno e per svariati mandati successivi il figlio Walter fu eletto consigliere comunale e anche assessore, e nei tempi più recenti il testimone è passato all’altro figlio Angelo.
Mastro Mico Burzese
Torniamo ai nostri due mastri barbieri. Ciccio Alì aveva cominciato il lavoro da giovanissimo, insieme con Michele Marra, fratello di Micuzzo (per decenni titolare di un negozio di alimentari all’inizio del Corso) e di Giovanni, futuro sacerdote e poi vescovo e arcivescovo di Messina e altro ancora.
Nella foto a lato, Burzese nel suo salone
Dopo qualche tempo però Michele Marra decise di partire per l’America e cercare lì fortuna, perciò Alì rimase da solo e si domandò che cosa fare: chiudo o continuo io ? Ciccio benchè giovanissimo e con relativamente poca esperienza, invece di chiudere bottega, volle correre il rischio e accettò di subentrare in toto al suo vecchio amico. E fece la cosa più giusta della sua vita, se è lecito usare queste parole, perchè ben presto capì che quella del barbiere era davvero l’attività lavorativa che voleva svolgere e la svolse con passione e soddisfazione per tutta la vita, lasciandola solo alla fine dei suoi giorni.
Nella foto sopra i dirigenti e militanti del Pci davanti al Municipio per presentare la lista elettorale. Burzese è il terzo da sinistra in piedi.
Anche Ciccio, come Mico Burzese, era vicino al partito comunista, ma non svolgeva attività politica diretta (però sua figlia, l’avv. Maria Lucia Alì è stata vicesindaco all’inizio degli anni 2000, consigliere comunale ed è ancora oggi una dirigente di primo piano del locale Pd), e nel suo rapporto con i clienti prediligeva la conversazione generica, il legame personale, non a caso con molti clienti finivano per nascere belle amicizie, che andavano al di là della vita di salone, e altri lo consideravano una specie di confidente, con il quale parlare dei propri problemi e sfogare qualche pena.
Mastro Ciccio Alì
Ciccio Alì nel suo lavoro aveva una sorta di specializzazione, quella del servizio a domicilio, che è qualcosa più di un lavoro e che anche i suoi colleghi talvolta esercitavano, ma in misura minore. A Cinquefrondi il servizio di barba e capelli a domicilio viene chiesto non dal signore troppo impegnato per uscire di casa, o dallo snob che non si mischia ai comuni mortali, ma da persone seriamente ammalate o con gravi difficoltà motorie. Molte di queste abitavano in campagna, in luoghi nemmeno vicini. Ciccio Alì che neppure possedeva o guidava l’automobile, faceva lunghissime scarpinate, a tutte le ore del giorno, anche di domenica, pur di accontentare i clienti che lo aspettavano.
Non lo faceva per i soldi, perché le sue tariffe erano basse. Il suo era un vero e proprio servizio alla persona, teneva a quei clienti più di ogni altro, pur sapendo quanto gli costasse camminare: Ciccio infatti da sempre aveva un problema a una gamba, che lo faceva zoppicare. Non era difficile incontrare Alì per strada, a qualunque ora, anche nei giorni festivi, con la borsetta degli attrezzi sottobraccio, mentre si recava ad accontentare un affezionato cliente. Lui era felice di questo lavoro. E delle relazioni di grande simpatia umana che riusciva a creare con i clienti e con chiunque frequentasse il suo locale. Le persone con lui si rilassavano e confidavano anche. La gentilezza dei modi di mastro Ciccio era proverbiale, così come la sapienza del registro linguistico da usare, a seconda se avesse per le mani un contadino analfabeta o un raffinato signore.
Fra gli altri clienti, mastro Ciccio ne aveva uno speciale, seppur per poche volte all’anno. Quando era a Cinquefrondi infatti andava a farsi tagliare i capelli da lui il vescovo mons. Giovanni Marra fratello di quel Michele che in anni lontanissimi aveva avviato il salone del Corso, e che lui aveva rilevato. Quando Alì chiuse il locale e si trasferì al quartiere Aracri, Marra cominciò a frequentare il salone di barberia di Angelo Fiorillo, un giovane allievo del suo vecchio barbiere e amico. Fiorillo aveva il suo esercizio in via Veneto, ed era anche il ritrovo preferito di molti giovani della comunità parrocchiale. Marra fece quella scelta anche perchè si ricordava che Francesco Fiorillo, il papà di Angelo, era stato suo compagno di scuola alle elementari, per tre anni, con il maestro Francesco Gerace, nonno dell’autore di questo scritto.
Il giorno prima di morire, ricoverato in ospedale, ma lucido, mastro Ciccio capì che la sua ora stava per giungere. Disse che dopo il funerale desiderava che il salone fosse subito riaperto. E così fu, per mano di Angelo Fiorillo, che da ragazzino era andato proprio da lui, a imparare il mestiere e che negli ultimi anni era tornato a lavorare con il vecchio maestro, ormai quasi impossibilitato perfino a camminare. Subito dopo i funerali di mastro Ciccio, il salone è stato riaperto, come desiderava il suo fondatore.
Entrambi Alì e Burzese amavano il loro lavoro e non se ne sono separati mai, se non alla fine dei loro giorni. Un lavoro faticoso, che li faceva stare in piedi per lunghe giornate, ma anche un impegno sociale, perché nella Cinquefrondi di quel tempo i saloni, come i bar che abbiamo visto e le botteghe degli artigiani, e le sartorie, erano un luogo di ritrovo delle persone, per socializzare, parlare, scambiarsi opinioni, leggere il giornale, discutere di qualunque cosa. O più semplicemente farsi compagnia in attesa dell’ora di cena. Erano barbieri e anche un pò psicologi, a volte intrattenitori, e anche molto pazienti, con quella varia umanità che si raccoglieva attorno a loro. Cosa e come sarebbe stato il paese senza figure come loro ?
foto Archivio Gerace e Rino Macedonio
Qualche affettuoso aneddoto per ricordare Mastro Ciccio Alì,senza naturalmente dimenticare il caro Mastru Micu Bruzzese. Dunque, diventai suo cliente nel 1980 quando aveva il salone più giù del bar di Luigi Albanese. Fui uno dei suoi rarissimi clienti che esigeva per la rasatura della barba il rasoio vecchio stile,quello che si affilava manualmente tramite la coramella (una striscia in cuoio) che lui deteneva. Ero giovane,meno che trentenne ma i 15 minuti della rasatura erano un'occasione di rilassamento e di piacevoli intermezzi di paesano stile. Anzitutto Mastru Cicciu iniziava l'ammorbidimento della barba con una interminabile spennellatura a destra,a manca,sopra e sotto e questo lavoro gli dava il tempo di raccontare qualcosa di qualcuno degli amici miei e suoi. Poi con la rasatura tramite il rasoio tradizionale era attentissimo a non crearmi alcuna irritazione e se qualcosa appariva ,il suo allume di rocca leniva tutto. Bene, anche da residente a Taurianova,dopo sposato, la barba continuai a farla nella sua barberia, che poi si era trasferita sotto la sua abitazione nel rione Aracri. Andavo a fare la barba sempre la sera tardi,alla fine del mio lavoro e lo trovavo sempre lì,quasi ad aspettarmi con l'espressione sorridente,amichevole,rispettosa . L'accoglienza era sempre lo stessa :"Accomidatevi !" proprio così, nel sui italiano. Io mi sedevo, mi regolava la poltrona e prima di iniziare la lunga spennellatura esclamava :" State còmido?", proprio cosi; ed io: " Si mastru Cicciu, grazzi assai". La tribolazione con la malattia della moglie Amelia e la sua morte lo avevano segnato e lui mi raccontava,spennellando, ed io lo ascoltavo e,cristianamente, cercavo di condividerne i sentimenti. Si era avvicinato alla Chiesa, alla Fede e di questo era una testimonianza il suo ascolto di Radio Maria attraverso una scatasciata" radiolina,sulla quale doveva spesso intervenire,anche mentre mi faceva la barba per risintonizzare la stazione. Entrambi ascoltavamo in silenzio musica sacra o preghiere durante la rasatura e lui sapeva che anch'io avevo ormai ritrovato la Fede in Dio,che sulle strade della vita avevo prima smarrito. Lui sapeva che non amavo parlare di politica e sopratutto di quella paesana ed era rispettosissimo delle mie idee e della mia avversione al pettegolezzo e ai personalismi. La barba da lui, che era del 1931 quindi ormai ultra ottantenne, era per me e per lui un rituale fine lavoro che rasserenava, riconciliava. Il suo amore per Lucia, Arcangelo e nipoti gli faceva brillare gli occhi quando ne parlava ed io ne condividevo la gioia. Finii di frequentare la sua barberia poco tempo prima che lui ci lasciasse.Ad Angiulinu Fiorillo, che sente aleggiare la sua presenza nella barberia che ha "ereditato" l'augurio di amare come ha amato lui quel mestiere e ai suoi cari che,attraverso Angiulinu, lo sentono ancora camminare nel suo salone,un affettuoso saluto.
Mimì