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In occasione della festa della mamma pubblichiamo per la prima volta su questo blog una poesia di Licia Pronestì Seminara, potessa cinquefrondese, della quale presto ci occuperemo più diffusamente. E’ una lirica dedicata alla madre, e fu pubblicata in un volume del 1977 intitolato ‘Ombre e luci’ con il quale la poetessa cinquefrondese ottenne il Primo premio del Convivio Letterario ‘Penna d’oro’.
Licia Pronestì Seminara con i fratelli e la mamma, in una immagine di molti anni fa
A mia madre
Mamma, della mia infanzia benedetta
che tu lieta rendesti col tuo amore,
fra le brume sfocate del passato,
nitida ancor ricordo la tua mano.
Lieve io la risento in sulla sera
a benedire il sonno che veniva
e la carezza sua, blanda e soave,
l’ombre buie fugando della notte
dava ai miei sogni immagini serene.
La risento paziente riavviare
i riccioli ribelli, scompigliati
dalle corse nei campi
e la cura amorosa ancor risento
con cui tu li pettinavi.
E poi, più tardi, trascorrendo gli anni,
bimba non più, ma non ancora donna,
nel balcone indorato dal tramonto,
io mi sedevo, madre,
sullo sgabello accanto ai tuoi ginocchi
dove poggiavo il capo,
e di me ti parlavo.
Ti confessavo i sogni,
le speranze non ancora deluse
dall’impatto spietato con la vita;
i primi turbamenti dell’amore
nel mio fresco fiorir d’adolescente.
Tu in silenzio ascoltavi, o madre mia,
e nella sera che scendeva quieta,
sentivo il cuore tuo vicino al mio
mentre la bella mano,
sui miei capelli ormai ben pettinati,
era lieve e leggera
come sull’onda l’ala d’un gabbiano.
E quando giovinetta ancora ignara
conobbi il ghigno atroce della morte
nel sorriso ormai spento
del fratello adorato,
e il terrore del nulla,
di quell’angoscia nuova, sconosciuta
mi spauriva e mi mozzava il fiato
dando al mio sguardo lampi di follia,
tu, madre benedetta,
tu nello strazio atroce più del mio,
tu crocifissa insieme al figlio tuo,
con il cuore squarciato
di tua maternità ferita, offesa,
scordasti il tuo dolor per darmi aiuto,
e la tua mano ancor mi terse il pianto.
E ancora oggi che il tuo capo è bianco
ed il tuo cuore ormai pulsa a fatica,
per sopportare il peso della vita,
ancora, mamma, io mi appoggio a te.
A te ricorro quando i giorni bui
velano le mie ore di tristezza,
e quando la stanchezza
piega le spalle mie sotto il suo peso,
da chi andrei, se non avessi te ?
Come allora bambina
riaccosto lo sgabello ai tuoi ginocchi
e sul grembo che mai mi si rifiuta
reclino il campo per trovar riposo.
E ancora, come allora, o madre mia,
la tua mano che forse or trema un poco,
posa su la mia fronte…e mi dà pace.