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 di Mimì Giordano

 

Eccoci a un nuovo appuntamento con le parole del dialetto cinquefrondese ormai in disuso o quasi del tutto dimenticate.

 

Arringari, nella forma dialettale cinquefrondese, significa lanciare pietre, oggetti vari, ma anche un ceffone contro qualcuno, es.: nc’arringau ‘nu timpuluni ‘ntra la facci; Arringari è usato anche in altra forma, es.: s’arringàu di ‘ncodu a mia – (s’è lanciato addosso a me).

ARRINGARI è utilizzato anche nel linguaggio della pastorizia: arringari ‘i pecuri = condurre le pecore al pascolo, ordinatamente. 

 

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Arrozzulijari – Si tratta della sensazione di fastidio, di contrazione nervosa sulla pelle che si avverte quando un oggetto metallico appuntito stride su un vetro o un dente strofina un altro dente. Succede anche quando una profonda emozione per il ricordo di un fatto drammatico, tragico avvenuto o che poteva avvenire, fa raggrinzire la pelle.

In dialetto diciamo: m’arrozzulijanu ‘i carni 

Canto popolare: Li carni s’arrozulijaru pe’ lu schjîantu, li capidhi s’isàru comu chîova,

restai ‘ncamatu chi parìa ‘nu pantu, parìa ca caminava supa l’ova

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Ascènti: dal dizionario calabrese-italiano del Prof. Francesco Laruffa (1908-1972).  Avverbio – Significa impunemente, senza conseguenze, senza danno, indenne.

 A Cinquefrondi, per indicare la persona che esce da una situazione critica, da una conseguenza morale o materiale temuta, si usa dire:  si la caccìau ascenti; si ndi nescìu ascènti

 

 

 

Behjùhhja:  pianta spinosa e rampicante, una poco nobile variante della cucuzza. Di sapore dolce, ma a mangiarla fritta o a pastella è gustosa e soprattutto nelle famiglie povere riempiva lo stomaco a poco prezzo.  E’ una parola difficilissima da scrivere, si pronuncia  con la…. h  ‘soffiata’

Bibbarò:  altro che ciuccetto, le vecchie generazioni del paese erano più… rispettose di quanto ci avevano lasciato le invasioni francesi, ed ecco che biberon (dal latino bibere) divento bibbarò. E le mamme cinquefrondesi  crescevano i bimbi con quel mini poppatoio in bocca da cui succhiavano latte o acqua e zucchero,  il pianto si sedava e…  li mammi  nd’avènu ‘nu pocu d’abbentu.

Biveri:  abbeveratoio, anche questo con origine latina bibere. Da notare che a Cinquefrondi una traversa di Via Dante Alighieri, all’altezza della vecchia trattoria di Peppe Amato, c’è la Via Bivieri. In effetti dovrebbe essere Via Biveri, perché proprio lì c’era una fontana che costituiva un abbeveratoio per  animali e persone che vi transitavano.

Bomprutu: che meraviglioso augurio con due bicchieri di vino in mano.  Bomprutu altro non era che Buon pro, un augurio che quel bicchiere di vino bevuto assieme fosse salutare e benefico. E si rispondeva:  Pe’ cent’anni !, oppure Sangu e latti !  

 

Brìgghju: birillo. Jocari a li brìgghja – giocare ai birilli. Rre di brìgghja, in senso ironico viene definito chi si da arie, pur non avendo alcun peso, perché i birilli vengono travolti.

Bruvera: Erica arborea, detta anche ràdica. Questa pianta selvaggia è stata per decenni fonte di lavoro duro ma remunerativo per la comunità cinquefrondese. La nostra Limina possiede le migliori radiche del meridione d’Italia. E negli anni ’30 iniziò un’attività che poi si protrasse nei decenni post-guerra,  l’estrazione del ciocco di Erica che dava le più pregiate bozze di pipe. Ottant’anni addietro ne esportavamo in Lombardia, in provincia di Como. I grandi maestri  “cioccaioli” erano Arcangelo (Arcò) Gallo e i suoi figli e un certo Zerbo, che poi nei decenni successivi si trasferì nella jonica, ad Ardore e proseguì l’attività di piparo. Acnhe Pasquale Creazzo per un pò produsse bozze di pipe. Nessuno ha mai inteso riprendere questa tradizione ma la nostra Limina è sempre ricca di questa risorsa.

Busillis : Busìllicu o Pusìllicu. Ecco un termine stranissimo, con un’espressione ricorrente: chistu è lu busìllicu (questo è l’enigma, la difficoltà). Questo termine inesistente nasce da un errore di traduzione di una frase latina ad opera di un chierico poco esperto. La frase esatta  era : in diebus illis (in quei giorni). Sennonché per un errore di trascrizione, la frase diventò in die busillis , dunque intraducibile. Ma restò  busillis e a Cinquefrondi, nella storia del suo dialetto è sempre presente per indicare, appunto, l’enigma, la difficoltà.

 

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