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Il Giovedì Santo è il giorno nel quale festeggiamo l’istituzione dell’Eucarestia e della Chiesa da parte di Gesù, avvenute attraverso la consacrazione del pane e del vino nell’Ultima cena con gli apostoli, prima dell’arresto e della crocifissione. Oggi è perciò il giorno in cui fare gli auguri ai nostri sacerdoti, perchè è la loro festa. 


Con il Giovedì Santo si conclude la Quaresima, che era cominciata il Mercoledì delle Ceneri. Con la messa della sera “in Coena Domini” inizia il Triduo pasquale, cioè i tre giorni nei quali si commemora la Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, che ha il suo fulcro nella solenne Veglia pasquale. 


Il Giovedì Santo è riservato a due distinte celebrazioni liturgiche: 

– al mattino nelle Cattedrali, il vescovo con una solenne cerimonia alla quale partecipano tutti i sacerdoti e i diaconi della diocesi, consacra il sacro crisma, cioè l’olio benedetto da utilizzare per tutto l’anno successivo per Battesimo, Cresima e Ordine Sacro, per l’Unzione degli Infermi e per ungere i Catecumeni

– nel tardo pomeriggio in tutte le chiese c’è la celebrazione della Messa in “Coena Domini”, cioè la “Cena del Signore”. Si tratta dell’Ultima Cena, raffigurata da intere generazioni di artisti, che Gesù tenne insieme ai suoi apostoli prima dell’arresto e della condanna a morte. 


Tutti e quattro i Vangeli riferiscono che Gesù, avvicinandosi la festa “degli Azzimi”, cioè la Pasqua ebraica, mandò alcuni discepoli a preparare la tavola per la rituale cena, in casa di un loro seguace. La Pasqua è la più solenne festa ebraica e viene celebrata con un preciso rituale, che rievoca le meraviglie compiute da Dio nella liberazione degli Ebrei dalla schiavitù egiziana. 


In quella notte si consuma l’agnello  durante un pasto (la cena pasquale) di cui è stabilito ogni gesto; in tale periodo è permesso mangiare solo pane senza lievito (in greco, “azymos”), da cui il termine “Azzimi”. Gesù con gli Apostoli non mangiarono solo secondo le tradizioni, ma il Maestro per l’ultima volta aveva con sé tutti i dodici discepoli da lui scelti e a loro fece un discorso dove s’intrecciano commiato, promessa e consacrazione. In pratica è in quel momento che è nata la Chiesa, anche se questo si comprese dopo. 


La messa “in Coena Domini” a Cinquefrondi ha per protagonisti, oltre al celebrante don Serafino, dodici giovani e adulti che fanno parte delle due Confraternite cittadine, cioè quella del Rosario e quella del Carmine. Come avviene ormai da tanti anni, sono sei dell’una e sei dell’altra associazione a svolgere il ruolo degli apostoli nel rito della lavanda dei piedi. Saranno perciò sull’altare, seduti in cerchio, e ognuno di loro indosserà il tradizionale saio delle ripettive confraternite. Quest’anno i sei apostoli della Confraternita del Carmine sono Enrico Albanese, Mario Carrano, Marco Massara, Luigi Mezzatesta, Massimo Seminara, Luca Valerioti. Quelli del Rosario sono Agostino Macedonio, William Burzese, Raffaele Pilogallo, Angelo Ioppolo, Luciano Ciancio e Francesco Mercuri. 

Alla fine della messa sempre questi dodici ‘apostoli’  avranno il compito di distribuire ai presenti il pane benedetto, simbolo dell’Eucarestia appena celebrata. Prima della celebrazione infatti, grandi ceste colme di panini e pagnotte vengono preparate dal parroco don Serafino  e dai suoi collaboratori nel salone attiguo alla chiesa, e dopo la conclusione della messa donati ai presenti. 

LA LAVANDA DEI PIEDI SIMBOLO DI OSPITALITÀ

Il Vangelo di Giovanni racconta l’episodio della lavanda dei piedi. Gesù «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine», e mentre il diavolo già aveva messo nel cuore di Giuda Iscariota, il proposito di tradirlo, Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e preso un asciugatoio se lo cinse attorno alla vita, versò dell’acqua nel catino e con un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, si mise a lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto. 


Bisogna sottolineare che a quell’epoca si camminava a piedi su strade polverose e fangose, magari sporche di escrementi di  che rendevano i piedi, calzati da soli sandali, in condizioni immaginabili a fine giornata. La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola. 



Quando fu il turno di Simon Pietro, questi si oppose al gesto di Gesù: “Signore tu lavi i piedi a me?” e Gesù rispose: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo”; allora Pietro che non comprendeva il simbolismo e l’esempio di tale atto, insisté: “Non mi laverai mai i piedi”. Allora Gesù rispose di nuovo: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” e allora Pietro con la sua solita impulsività rispose: “Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!”. 
Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti. 



Dopo la lavanda Gesù si rivestì e tornò a sedere fra i dodici apostoli e instaurò con loro un colloquio di alta suggestione, accennando varie volte al tradimento che avverrà da parte di uno di loro, facendo scendere un velo di tristezza e incredulità in quel rituale convivio. “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”, dice Gesù. Parole alle quali gli apostoli reagiscono sgomenti e in varie tonalità gli domandano chi fosse, lo stesso Giovanni il discepolo prediletto, poggiandosi con il capo sul suo petto, in un gesto di confidenza, domandò: “Signore, chi è?”. E Gesù commosso rispose: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” e intinto un boccone lo porse a Giuda Iscariota, dicendogli: “Quello che devi fare, fallo al più presto”; fra lo stupore dei presenti che continuarono a non capire, mentre Giuda, preso il boccone si alzò, ed uscì nell’oscurità della notte. 


I riti liturgici del Giovedì Santo, giorno in cui la Chiesa celebra oltre l’istituzione dell’Eucaristia, anche quella dell’Ordine Sacro, ossia del sacerdozio cristiano, si concludono dopo la messa della Cena con la reposizione dell’Eucaristia in un cappella laterale delle chiese, addobbata a festa (quella che noi chiamiamo ‘sepolcro’) per ricordare l’istituzione del Sacramento; cappella che sarà meta di devozione e adorazione, per la rimanente sera e per tutto il giorno dopo, finché non iniziano i riti del pomeriggio del Venerdì Santo. Tutto il resto del tempio viene oscurato, in segno di dolore perché è iniziata la Passione di Gesù; le campane tacciono, l’altare diventa disadorno, il tabernacolo vuoto con la porticina aperta, i Crocifissi coperti. 

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