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                                                                                         Bruno Ferrari


Nel Corso di Cinquefrondi è vissuto a lungo l’avvocato Bruno Ferrari. Lo chiamavano avvocato, in realtà pur essendo laureato in legge faceva il professore di francese. Era un uomo colto e molto impegnato in politica. E’ stato per anni il segretario della Democrazia Cristiana, e lo era anche nel 1967, anno eroico per il partito: quell’anno infatti per la prima volta lo scudo crociato strappò il governo di Cinquefrondi ai partiti della sinistra. Vinse la lista guidata dall’avv. Francesco Raschellà, che poi sarebbe stato sindaco fino al 1978. Quel successo fu anche di Ferrari, inossidabile segretario della Dc negli anni ruggenti della sinistra e a lungo in passato consigliere comunale di minoranza. 

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Ricordo nel 1978 un suo intervento pubblico in occasione del sequestro e dell’uccisione del Presidente della Dc Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. In quei giorni i cittadini di Cinquefrondi scesero in piazza per esprimere solidarietà alla famiglia di Moro e alla Dc, colpita nel suo presidente. 

Dopo l’uccisione di Moro, si tenne un’assemblea pubblica di commemorazione nell’Aula consiliare del vecchio municipio. Ferrari pronunciò un intervento pieno di emozione e di dolore, quasi personale, per la terribile fine del Presidente del suo partito. 

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Sul suo viso si palesò una smorfia per trattenere le lacrime,  mentre con la sua voce un pò stridula il vecchio Bruno esprimeva con parole nobili quanto grande fosse la ferita che quella sciagurata vicenda aveva inferto anche alla lontana provincia italiana, e anche quanto grande e genuina fosse la partecipazione personale dei protagonisti della piccola politica locale alla vita del Paese. 


Ferrari non era un personaggio vistoso, piccoletto anche fisicamente, amante più dei libri che della chiacchiera paesana, passava quasi inosservato, era incline alla polemica se stuzzicato, ma anche meticoloso, annotava ogni cosa ritenesse utile ricordare, sezionava i cavilli legali di ogni testo e delibera, studiava le leggi. 

In queste foto, il corteo di solidarietà dopo l’uccisione di Aldo Moro, il 9 maggio 1978

Con l’avvocato Raschellà leader indiscusso del partito, Bruno Ferrari ebbe una collaborazione fortissima e leale, e nella Dc di quegli anni il mite avvocato-professore guidò la carretta del partito verso il trionfo alle comunali del 1967. Era colto, leggeva tanto, seguiva le indicazioni di partito in modo disciplinato, si informava sull’andamento del dibattito parlamentare sui vari argomenti. 


Dopo il corteo per Moro ci fu una Messa nella chiesa matrice


La politica era la sua passione, e la serietà con cui la metteva in pratica fece di lui una figura rispettata anche fuori paese. Da casa sua sono passati alcuni big  di quel tempo, come il più volte ministro Riccardo Misasi, autentico leader della Dc calabrese, e il sottosegretario Nello Vincelli, che in provincia di Reggio era il capo della corrente vicina alle posizioni di Fanfani e alle quali lui aderiva. 

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Il 3 dicembre del 1967 da gregario di Raschellà, ma nel ruolo ufficiale di segretario del partito cinquefrondese, festeggiò il successo della Dc che raccolse 1690 voti, contro i 1275 dei tre partiti uniti della sinistra. C’era molto di suo in quel successo, non tanto nei voti di preferenza ottenuti, quanto nel lavoro organizzativo, certosino, attento ai dettagli. Era già stato eletto consigliere comunale (di minoranza) alle elezioni del 1956 e del 1960, quando avevano vinto le sinistre unite: nel primo caso sindaco Domenico Manferoce, nel secondo Francesco Roselli. 

Nel 1963 alle elezioni che portarono Corrado Cimino nel ruolo di sindaco, Ferrari non fu eletto nella sparuta pattuglia di democristiani che entrarono in consiglio. Ma si prese la soddisfazione 4 anni dopo, dando il suo contributo -come già ricordato- al primo successo della Dc sui partiti della sinistra, nella storia cittadina. Ferrari da buon soldato di partito non fece una piega quando il suo nome non entrò nella giunta chiamata a governare Cinquefrondi, ma in realtà ci soffrì molto perché la sua affermazione veniva da lontano, da una lunga storia di militante e si aspettava un riconoscimento. Ferrari si ricandidò ancora alle elezioni successive, fu eletto ma anche stavolta non ci fu posto per lui fra gli assessori. Da gran signore, masticò amaro ma rimase fedele alla sua bandiera di dirigente politico, svolse il suo incarico di consigliere semplice senza farne un fatto personale e conservò il ruolo di segretario. 

Nel 1978 l’Italia voltò pagina dopo la tragedia di Moro, nel suo piccolo fece altrettanto anche la Dc locale, appena uscita sconfitta dalle urne. Per Ferrari si chiudeva un’epoca, fu il momento dell’addio al ruolo di segretario e anche all’impegno pubblico. 

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