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Antonio Bonini
Durante la prima guerra mondiale un soldato cinquefrondese fu coinvolto in uno dei più cruenti scontri che caratterizzarono quel conflitto, la cosiddetta Decima battaglia dell’Isonzo, che avvenne sulle montagne friulane nei pressi di Gorizia dal 12 maggio al 5 giugno 1917. Quel giovane si chiamava Antonio Bonini, era un ragazzone ben piazzato fisicamente, con un’espressione eternamente bonaria e sorniona. L’ho definito cinquefrondese benchè fosse nato invece a Feroleto della Chiesa. Ma fin da giovane venne a vivere a Cinquefrondi e qui è sempre rimasto.
Pagine di sangue e dolore, di gloria e di morte furono scritte in quella primavera del 1917 su costoni di roccia, valli e strapiombi, nel territorio di confine tra Italia, Austria e Slovenia. Sul fronte delimitato dal fiume Isonzo si è giocata larga parte della prima guerra mondiale.
Il tenente Antonio Bonini, in forza al 221mo reggimento di fanteria, partecipò alla Decima, una fra le più terribili battaglie quanto a spargimento di sangue, e a inutilità.
Gli italiani potevano contare su 430 battaglioni di soldati e 3800 pezzi di artiglieria, gli austro-ungheresi su 210 battaglioni e 1400 pezzi di artiglieria. Benchè inferiori per uomini e mezzi, gli austro-ungarici godevano però di un migliore posizionamento sul territorio, e occupavano tutte le vette dei monti intorno a Gorizia e soprattutto le grotte naturali, che costituivano un ottimo rifugio durante i bombardamenti e un sicuro nascondiglio.
All’alba del 12 maggio 1917 le artiglierie italiane aprirono il fuoco su tutto il fronte, sparando ininterrottamente per due giorni; a mezzogiorno del 14 maggio le fanterie italiane, e fra essi anche il tenente Antonio Bonini, cominciarono l’avanzata verso Gorizia. Furono ore e ore di attacchi e contrattacchi furiosi e sanguinosi. In quelle montagne, specialmente di notte, i soldati italiani andavano in avanscoperta per capire il posizionamento delle forze nemiche e individuare i luoghi dove creare un varco nel fronte rivale.
Veduta della zona del monte San Gabriele, Friuli
Nei piani del gen. Cadorna, la Decima Battaglia dell’Isonzo doveva essere lo scontro che avrebbe permesso all’Italia di puntare alla conquista di Trieste. Per questo motivo venne preparata un’azione che prevedeva fra l’altro la conquista del Monte Santo e del Monte San Gabriele, le alture alle spalle di Gorizia.
Ed è proprio sul Monte San Gabriele che il tenente Bonini diede il meglio di sé, avventurandosi tante volte anche in solitaria fra le linee nemiche per poterne poi riferire ai suoi comandanti. Bonini si muoveva con disinvoltura in quei territori sconnessi e riusciva a tornare al campo base portando sempre informazioni utili, e ciò lo rese prezioso al suo reparto. In queste operazioni ci voleva davvero molto coraggio: se andava bene si finiva prigionieri del nemico, se andava male si riceveva addosso una scarica di colpi da distanza ravvicinata, senza nemmeno il tempo di recitare una preghiera.
Nella foto a lato, soldati in una trincea durante la prima guerra mondiale
Durante uno di questi temerari andirivieni dalle linee nemiche, Bonini fu più ardimentoso del solito e si spinse in avanti, molto in avanti, fino a osare addirittura l’incredibile, cioè recidere il filo spinato che faceva da protezione al territorio degli austro-ungarici. Aprire un varco lì, sarebbe stato come creare un’autostrada per sé e i suoi compagni, che li avrebbe portati diritti alla conquista del Monte San Gabriele.
Bonini fece una prima incursione, tornò indietro per riferire ai superiori quanto aveva visto, e poi riprese l’operazione per completare l’opera, cioè tagliare del tutto il reticolato metallico e aprire la via ai suoi commilitoni. Fu in quel frangente, a cose ormai fatte, che dal fronte nemico cominciarono a piovere granate grandi come palloni di calcio, una di queste esplose a poca distanza dal soldato cinquefrondese, che rimase gravemente ferito al volto e al petto. Bonini fu soccorso dai compagni e portato all’infermeria da campo, nel frattempo grazie al passaggio che lui e altri avevano aperto, tanti soldati passarono all’attacco, uno dei tanti che caratterizzarono il lungo assedio al Monte San Gabriele, e quella notte catturarono ben 400 prigionieri.
Nella foto a lato, una trincea della prima guerra mondiale nella zona del monte San Gabriele
Ci fermiamo qui con il racconto delle vicende di guerra: Bonini fu ferito gravemente, soprattutto al viso che era pieno di bruciature, e restò ricoverato a lungo, perchè anche il suo palato fu fortemente danneggiato, e quasi tutti i denti saltati; poco dopo venne congedato dalle forze armate, e tornò a casa, ventenne, con una dentiera posticcia.
All’ospedale militare era stato curato, quando si dice il caso, da un cinquefrondese che prestava lì servizio come infermiere, era il maestro Leonardo Longo. Fra i due nacque un legame fortissimo e un’amicizia che poi durò per tutta la vita e coinvolse anche le rispettive famiglie.
Lo slancio di combattente del tenente Bonini non era passato inosservato fra i suoi superiori, e così pure il coraggio dimostrato nella sua pericolosa ultima missione che stava per costargli la vita. Qualche tempo dopo infatti arrivarono i primi riconoscimenti. Cominciò il Comandante del VI Corpo d’armata, che nell’ottobre 1918 firmò la concessione di una prima onorificenza, “la Croce al merito di guerra”.
L’anno successivo, e precisamente, il 15 aprile 1919, ne arrivò un’altra di gradino superiore, se così si può dire: il re su proposta del ministero della guerra concesse infatti al tenente Bonini la Medaglia d’argento al Valore Militare. E meno male che si trattò ‘solo’ della Medaglia d’argento, perché quella d’oro veniva generalmente concessa a quanti si erano distinti per atti di eroismo, ma erano anche morti sul campo !
La Medaglia d’argento al Valor militare fu concessa a Bonini con questa motivazione:
Eseguiva ardite e pericolose ricognizioni per verificare l’apertura dei varchi nelle difese accessorie del nemico, riportando al comando utili informazioni. Mentre con animo sereno sotto il violento fuoco si accingeva a rimuovere il reticolato infisso dinanzi alla trincea, veniva gravemente ferito al viso.
Monte San Gabriele 14 maggio 1917
Oltre all’onorificenza a Bonini fu concesso anche un “soprassoldo di 100 lire annue”, cioè un aumento della paga di soldato, che per quel tempo era una gran bella somma, e certamente non guastava, tanto più se si considerano le gravi ferite riportate dal giovanotto. Il soldato cinquefrondese successivamente fu anche insignito del titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto.
E qui finisce la prima parte della vita di questo cinquefrondese proveniente da Feroleto della Chiesa, che una volta tornato a casa prese in moglie Maria Flora Iemma, una maestra di Polistena, di quattro anni più giovane.
I due si stabilirono a Cinquefrondi e ebbero ben sette figli: Michele, Umberto, Italo, Raimondo, Giuliano, Maria Teresa e Aldo. In casa dunque certo non si annoiarono mai, tuttavia la giovane coppia ebbe una vita molto intensa anche sul fronte pubblico e soprattutto politico.
A lato il tenente Bonini; sotto il maestro Bonini e la moglie Maria Flora in una immagine della metà degli anni ’70
L’eroe di guerra Bonini continuò il suo mestiere di ‘combattente’ e divenne durante il periodo fascista organizzatore e ufficiale istruttore delle milizie a Cinquefrondi. Non ricoprì mai ruoli politici o amministrativi formali, limitandosi a essere un sostenitore delle attività del partito fascista a Cinquefrondi e dintorni.
La sua vera professione era invece quella di maestro alle scuole elementari. Fra gli altri suoi allievi, per uno o due anni probabilmente, ci fu anche un certo Giovanni Marra che oltre 50 anni dopo sarebbe diventato arcivescovo di Messina e molte altre cose, e che a motivo di quella frequenza scolastica conservò per tutta la vita grandi legami di amicizia e affetto con tutta la numerosa famiglia Bonini.
La signora Maria Flora, anche lei insegnante alle elementari, fu per alcuni anni addirittura la segretaria della sezione femminile del partito fascista di Cinquefrondi e divenne popolarissima nella zona non solo per la sua determinazione politica, era infatti molto grintosa, una vera marescialla; ma anche per le sue opere sociali e in particolare per i corsi di formazione professionale di sartoria e tessitura, che consentivano alle donne povere di crearsi un lavoro.
Nella foto a lato, le partecipanti a un corso di formazione professionale promosso dallasignora Maria Flora Iemma. Nella foto sotto il maestro Antonio Bonini con la sua classe alla scuoa elementare ‘F. Della Scala’
La politica in casa Bonini era una passione autentica condita da un forte idealismo, ma come tutte le cose che si fanno per ideali e non per interessi, era anche poco redditizia. La famiglia da mantenere era numerosa, così l’ex tenente Bonini oltre a insegnare, dovette cercarsi un secondo lavoro, e finì per diventare addirittura aiutante esattore a Galatro, dove si recava in bicicletta come ancora ricordano, non senza stupore, in famiglia.
La caduta del fascismo significò anche la conclusione del secondo capitolo della vita avventurosa di Antonio Bonini. Con la fine del regime politico che aveva retto l’Italia per un ventennio, per l’ex tenente di fanteria non cambiò sostanzialmente nulla: lui si tenne le stesse idee che in buona fede aveva professato, all’insegna del motto Dio Patria Famiglia, e continuò a insegnare a scuola, rispettato come prima. Bonini infatti quando il fascismo imperava e lui ne era un rappresentante in vista, si era sempre comportato da persona normale, perciò non aveva nulla da temere come rappresaglia dai nuovi arrivati al potere. E infatti, che si sappia, nessuno ebbe mai nulla da rimproverargli.
Il maestro Bonini
La terza vita dell’eroe di guerra Bonini coincide con la parte finale della sua esistenza, tutta e solo dedicata all’insegnamento, alla famiglia e anche alla Chiesa. Una caratteristica di quest’uomo è che qualunque cosa facesse, voleva farla bene fino in fondo: in guerra fu combattente accanito, durante il fascismo si identificò con quell’ideale e si spese senza risparmio per sostenerlo, infine nel periodo scolastico fu tutt’uno con l’insegnamento.
Il maestro Bonini con la sua classe quando la scuola si faceva alla baracche
Il maestro Bonini insegnò alla sua prima classe quando la scuola era ancora ospitata, diciamo così, nelle baracche che sorgevano dalle parti dell’attuale via Bruno Buozzi, prima che il podestà Francesco Della Scala facesse costruire all’inizio degli anni ‘30 l’imponente edificio che oggi tutti conosciamo.
Il legame e coinvolgimento di Bonini con la scuola fu totale e durò per ben 40 anni, e quando arrivò l’ora della pensione, il Ministero della pubblica istruzione, attraverso il provveditorato di Reggio, gli conferì la Medaglia d’oro al merito scolastico. Ma non tutti forse sanno che lui oltre a essere stato insegnante, negli ultimi anni di carriera fu anche il bibliotecario della scuola elementare e addirittura gestì la segreteria appena costituita, e lo fece anche da pensionato volontario. Il lavoro della biblioteca lo divertiva molto, perchè lui amava la lettura e i libri, e si trovava nel suo ruolo preferito quando i ragazzi gli chiedevano consigli e suggerimenti sui libri da prendere in prestito. Non dimentichiamo che soprattutto negli anni Sessanta e fino all’inizio degli anni Settanta, i libri erano un vero lusso, e spesso purtroppo pure i quaderni e le cartelle, dunque erano tantissimi i ragazzi che non potevano permetterseli. La biblioteca scolastica perciò era un bene immenso.
Nella foto a lato, il maestro Bonini riceve la medaglia d’oro da un rappresentante del inistero della pubblica istruzione; sotto, il saluto di un alunno e dei colleghi maestri
La medaglia gli venne appuntata al petto nel corso di una cerimonia che si tenne a scuola, fu proprio un rappresentante del Provveditorato a consegnargli il riconoscimento, davanti alle autorità comunali, ai colleghi maestri e agli alunni dell’istituto. Il discorso ufficiale della cerimonia in suo onore fu tenuto da un’altra gloriosa maestra cittadina, la signora Antonietta Mammola che salutò e ringraziò Bonini, maestro di generazioni di ragazzini cinquefrondesi.
Fu un momento emozionante per l’interessato e soprattutto suggello finale di una esistenza sempre in prima linea. A dispetto dei suoi trascorsi di combattente, Bonini fu un uomo mite e tranquillo, un insegnante severo ma giusto, che cominciava e finiva le sue lezioni con una preghiera, e condusse un’esistenza sobria e abbastanza riservata; non diede mai peso alle onorificenze militari ricevute, non si diede arie di superiorità in quanto eroe di guerra, e alla caduta del fascismo non diventò come tanti immediatamente antifascista anzi si mantenne fedele ai suoi ideali e visse modestamente.
Bonini era molto religioso, faceva parte della Confraternita del Rosario, fequentava la chiesa quotidianamente, era amicissimo dei sacerdoti che a quel tempo vivevano a Cinquefrondi, don Domenico Galati il parroco, don Fortunato Sorrenti rettore del Carmine e don Giovanni Galuzzo, rettore del Rosario.
La domenica assisteva alla messa in ginocchio, almeno finchè le forze gliel’hanno permesso. Il figlio Aldo, l’ultimogenito, ancora ricorda che il padre “si metteva in un angolo vicino all’altare di san Michele e siccome non c’erano ingnocchiatoi per tutti, lui si portava un giornale da stendere per terra, e vi si inginocchiava sopra, per non sporcare i pantaloni”.
Il maestro Bonini pregava tanto e, ricorda ancora Aldo, “in occasione del pranzo domenicale le sue orazioni a volte erano lunghe, ma noi figli eravamo impazienti di metterci a tavola”. Le abitudini religiose del padre non sempre erano pienamente apprezzate dai figli: “quando era l’ora della tv dei ragazzi, da piccolo uscivo di casa per cercare un luogo dove guardarla (in casa noi non avevamo la tv), ma lui mi chiamava perchè era ora di andare a messa. Mi faceva infuriare” sorride oggi l’ultimogenito dei Bonini, che ricorda ancora che “tutte le sere, nei mesi di maggio e ottobre, la famiglia si riuniva per recitare il rosario”.
“Quando in famiglia c’era qualcosa che non andava, papà si rifugiava nella preghiera, e lo rivedo come fosse ieri, seduto al suo posto al tavolo da pranzo, battersi il petto, addolorato” ricorda Aldo.
Il maestro Bonini, nato a Feroleto ma sempre vissuto a Cinquefrondi, medaglia d’argento al valor militare, e medaglia d’oro almerito scolastico, uomo pio, morì il 5 settembre del 1977.
Mi compiaccio per la pagina dedicata al Professore Bonini, così lo chiamavamo a scuola.
Lo meritava questo ricordo, soprattutto in questa epoca di oblìo indotto e di offuscamento della memoria. Ricordare il professore Bonini per le qualità personali, per la coerenza e per la mitezza dei comportamenti non sminuisce quanto Cinquefrondi gli deve per il merito sociale, professionale. Egli, come chi lo precedette -e mi vengono in mente in questo momento solo due nomi-il maestro Bellocco e il maestro Pronestì, sono stati fulgidi esempi. Grazie ad essi, chi li seguì nella professione -come anche il professore Turi Valvo – ne interpretò la missione. Credo di non esagerare se parlo missione, perché il professore Bonini e gli altri educatori cinquefrondesi citati hanno inteso la scuola,la responsabilità verso l'istituzione, verso i colleghi e verso gli alunni con spirito missionario. Sono stati un punto di riferimento per tanti maestri e maestre di quei tempi e dei decenni successivi. Le generazioni di nostri compaesani che si sono formati ed educati in quella scuola hanno acquisito un valore aggiunto,un "unicum"che sicuramente nella vita e nel lavoro sono serviti. Nel leggere questa pagina dedicata al professore Bonini traggo un duplice beneficio: rafforzo il ricordo di un insegnante della mia infanzia, del quale disconoscevo alcuni particolari della vita e rafforzo anche l'idea che, vivendo come è vissuto, Egli ha lasciato le più valorose delle eredità: l'onestà e l'amore per l'insegnamento, espressione tra le più alte e più nobili della vita.
orgoglioso del grande CINQUEFRONDESE