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E’ il vegliardo della politica cinquefrondese, memoria storica delle istituzioni cittadine, beghe politiche comprese. Sto parlando dell’avv. Francesco Raschellà, in tempi ormai lontani sindaco di Cinquefrondi, con il vanto di essere stato il primo a sconfiggere le sinistre, e consigliere comunale per cinque mandati. Con lui la parola memoria mai fu più appropriata. Ancorchè malfermo nelle gambe e con gli acciacchi dell’età, Raschellà conserva una lucidità davvero sorprendente e custodisce nitido il ricordo delle vicende cinquefrondesi dell’ultimo secolo.

L’avv. Francesco Raschellà

Raschellà è stato un protagonista della politica cinquefrondese. Ha fatto il sindaco fra il 1967 e la fine del 1977, e poi ancora per un anno nel 1985; è stato segretario provinciale del suo partito, non lo è mai stato invece a livello cittadino. Nella seconda metà del Novecento, nella vita politica cinquefrondese nulla accadeva senza che il suo giudizio fosse ascoltato o comunque tenuto in attenta considerazione.

Cominciò a impegnarsi in politica da giovanissimo e si iscrisse all’Azione cattolica e poi alla Fuci, l’associazione dei giovani universitari cattolici che guardava con interesse alla politica nel dopoguerra. Studiò a Napoli, laurea in legge nel 1952 con una tesi sul diritto nautico. E’ sempre vissuto a Cinquefrondi, ma i suoi genitori erano originari di Mammola. Il padre faceva il veterinario, vinse il concorso e lo mandarono nel nostro paese, era di idee socialiste ma in paese non si esponeva; la madre era casalinga. Ben presto il giovane avvocato entra nel partito della Democrazia Cristiana e pian piano si fa spazio, finchè non arriva il suo momento alla metà degli anni Sessanta, quando mette insieme una squadra di giovani capace di rovesciare il dominio politico della sinistra ininterrotto da due  decenni, e lui diventa sindaco.

La fontana di Piazza Marconi fu realizzata da Raschellà con i fondi dell’indennità di carica; l’avvocato durante il suo mandato non percepì mai lo ‘stipendio’ previsto per il sindaco 

Come politico cittadino Raschellà era un pò anomalo: non faceva niente per guadagnarsi facili simpatie, scansava la classica vita di paese, nel senso che difficilmente e raramente lo si vedeva a passeggio per il Corso o in Piazza o nella villa comunale o in un bar a sorseggiare un caffè con gli amici o alla partita. Non che fosse disattento a ciò che accadeva in paese, anzi ne era informatissimo. Diciamo che non si sentiva e non era in perenne campagna elettorale, alla ricerca di consenso facendo il piacione con tutti, o presenziando in qualunque occasione pur di farsi vedere. Trascorreva invece le sue giornate fra il Tribunale di Palmi o la Pretura e il suo studio di avvocato. La parte restante di tempo la dedicava alla politica, incontrando persone, facendo riunioni, scrivendo lettere, tante lettere. Una terza parte di restante tempo disponibile, soprattutto a tarda ora, la dedicava a un suo specialissimo hobby, il modellismo ferroviario, del quale è uno dei maggiori rappresentanti a livello regionale e del quale abbiamo riferito in altra parte di questo sito (leggi qui https://www.cinquefrondineltempo.it/francesco-raschella-e-il-suo-fantastico-mondo-colorato/ ).

Conosco l’avv. Raschellà da quando ero bambino, mio padre fu assessore con lui nel suo primo quinquennio di sindaco, i due sono stati amici e si sono frequentati per tanti anni. Fin da ragazzo ho avuto sempre molto rispetto per la sua persona e le sue qualità, per la sua figura carismatica. Ed ho continuato così pure da adulto, anche quando non ne condividevo le scelte politiche. I suoi comizi non erano mai banali, riusciva ad attaccare gli avversari senza mai pronunciare una parola offensiva o un insulto, e nei ragionamenti cercava a suo modo di volare alto. Talvolta troppo alto, e magari non tutti coglievano il senso delle sue visioni.

1970 – comizio in piazza a Cinquefrondi del’avv. Raschella e del ministro per l’agricoltura Mario Ferrari Aggradi

Raschellà era fatto per la politica nazionale e non per quella locale: da esperto di diritto, uomo coltissimo, attento e informato sui problemi nazionali e internazionali, studioso dei sistemi parlamentari e della rappresentanza, l’ho sempre immaginato a suo agio alla Camera o al Senato, più che nell’impegno paesano. Ma lui, un pò per attitudine personale, un pò per le scelte spesso contorte e poco trasparenti del suo grande e rissoso partito, in questo grande salto non si cimentò mai. Complice un carattere schivo e, sicuramente, anche un orgoglio personale non trascurabile, che gli hanno chiuso la strada a percorsi altrimenti a lui maggiormente consoni.

Era ed è sempre rimasto un convinto sostenitore, e naturalmente lo fu anche nella politica cinquefrondese, del dialogo fra le due grandi forze popolari dell’Italia di allora, la Dc e il Partito Comunista. E si spese in ogni modo per favorirlo, questo dialogo, pur sapendo che spesso era quasi impossibile per ragioni culturali prima ancora che programmatiche. E talmente forte era questa visione, e nello stesso tempo scevra da ambiguità ideologiche, che quando nacque il Partito Democratico sulle ceneri di quei due grandi ex partiti, lui non volle aderirvi, consapevole che il dialogo, anche stretto, fra diversi è una cosa, mentre la fusione nell’indistinto è tutt’altro.

Anche se non l’ammetterà mai nemmeno sotto tortura, Raschellà non amava molto invece i socialisti, dei quali non condivideva soprattutto lo spirito libertario e l’imprevedibilità tattica: lui, formato all’impegno politico negli ambienti dell’Azione cattolica e alla scuola di Piergiorgio Frassati, tendeva ad avere punti fermi sul piano ideale, attorno a cui costruire la politica, fatta di percorsi definiti dentro un quadro di certezze. La inafferrabilità e il movimentismo dei socialisti si trovava sovente al di fuori del suo perimetro caratteriale, e perciò guardava a quel mondo con diffidenza, anche quando ne apprezzava gli spunti.

Ma, come tutti i politici, anche Raschellà sapeva che nel dialogo con gli altri partiti, e soprattutto con le altre persone, non si può ‘mai dire mai’, e così ad anni di distanza dal suo decennio di sindaco democristiano si ritrovò a governare Cinquefrondi, seppure per un breve periodo, proprio in coalizione con i (poco amati) socialisti. Segno evidente anche, come ben dimostrato dal geniale Giovanni Guareschi nell’epopea di don Camillo e Peppone, prima delle ideologie ci sono sempre gli uomini veri, in carne e ossa, i vicini di casa, gli amici, le persone con cui si discute e poi al dunque si finisce per incontrarsi.

A proposito di amicizie, Raschellà fu molto legato al suo collega Francesco Bellocco, sindaco di Cinquefrondi anche lui, negli anni Cinquanta, eletto nella lista comunista, e poi tante volte consigliere, scomparso nel 2018. Bellocco è stato nel Pci quello che Raschellà fu nella Dc, cioè la persona più autorevole, di riferimento, alla quale si chiede sempre un parere prima di imbarcarsi in un progetto, in una polemica, in una campagna elettorale, e l’uomo di punta per le grandi decisioni. Insomma, un leader naturale.

L’avv. Francesco Bellocco, sindaco di Cinquefrondi all’inizio degli anni ’50, amico collega e avversario politico di Raschellà

I due furono amici e si rispettarono, anche se ogni tanto si beccavano (o piuttosto fingevano di farlo) in consiglio comunale. Alla fine degli anni Settanta furono protagonisti di lunghe dispute cittadine, dovendo peraltro far fronte a tante novità che si agitavano nei rispettivi gruppi: la Dc era infatti scossa da un gruppo di giovani universitari, alcuni dei quali facevano anche parte del centro Studi Il Viaggio, che lamentavano, non senza ragione, e spesso in modo polemico, una certa staticità della proposta politica del cosiddetto partito dei cattolici e l’assenza di iniziative adeguate; nel Pci si muoveva un analogo gruppo di giovani, che spingeva per cambiare dall’interno il vecchio moloch comunista, in nome della modernità, e in quella fase ebbe la meglio il gruppo guidato da Luigi Carrera, che poi qualche anno dopo diventò anche sindaco  (leggi qui https://www.cinquefrondineltempo.it/luigi-carrera-il-sindaco-gentiluomo-che-non-alzava-mai-la-voce/.).

Fuori da questi due partiti, invece, andava crescendo il ruolo del partito socialista il cui leader, il farmacista Raffaele Manferoce, si mostrò capace, più di altri, di interpretare il desiderio e l’attesa di modernità e nuovo che il paese sentiva con forza, e non a caso raccolse attorno a sé un gran numero di giovani.

Furono anni di dispute, e chi scrive, benchè molto giovane, li visse per un certo periodo in prima persona e con grande passione, prima del trasferimento a Roma. Il ricordo di quegli anni è rimasto assai vivo, perché la voglia di impegno si percepiva per intero, e nelle piazze si dibatteva di politica tutti i giorni; ci si accapigliava letteralmente, non per spartire potere, poltrone o cariche, che peraltro non c’erano, ma proprio per parlare di futuro, di sviluppo, c’era attesa e voglia di nuovo per Cinquefrondi, con grande passione si confrontavano ideali e visioni differenti del mondo e della vita.

La superstrada, lo sviluppo urbanistico impetuoso verso Polistena e verso la parte alta del paese, il piano di metanizzazione, l’apertura dei primi supermercati, il possibile recupero del centro storico, erano solo alcuni dei temi oggetto di discussione continua, insieme con quello atavico della mancanza di lavoro e della necessità di favorire un minimo di sviluppo occupazionale nella nostra terra.

Ma non furono sempre rose e fiori, l’avvocato infatti era ed è rimasto un uomo di carattere fermo, spesso duro e rigido nelle sue decisioni e punti di vista, non troppo propenso all’arte della mediazione, e ciò non gli ha risparmiato critiche anche aspre, polemiche e accese discussioni e rivalità nel suo stesso partito. Nel quale peraltro erano confluite con una eccessiva facilità anche figure, diciamo così, non del tutto omogenee con la visione e la storia della Dc. Cosa che alla lunga ha creato parecche tensioni, finendo per danneggiare anche la sua leadership. In ogni caso, per la sua dirittura morale Raschellà è sempre rimasto un punto fermo della parte politica cattolica del paese, anche quando ha smesso di candidarsi: mai schiavo della politica o del potere fine a sè stesso, il suo ritiro dalla scena pubblica fu assolutamente indolore e sereno.

1968 – Il sindaco Raschella’ firma con altri sindaci la richiesta formale di avvio dell’iter per la costruzione della superstrada

Nel suo piccolo studio in via Bruno Buozzi si è scritta una piccola, ma non banale parte della storia cittadina della seconda parte del Novecento, per le innumerevoli riunioni  che vi si sono tenute con i suoi collaboratori, assessori e consiglieri, per le campagne elettorali che vi sono state organizzate, per le immancabili polemiche imbastite nei confronti dei partiti avversari.

Alle spalle della sua poltrona, l’avvocato ha appeso al muro la copia originale del telegramma che gli mandò il suo amico sottosegretario Nello Vincelli, per comunicargli che la Cassa per il Mezzogiorno aveva  approvato il finanziamento della perizia per il progetto della superstrada Jonio-Tirreno, impegnando ben 97 milioni di lire dell’epoca: era il 27 dicembre 1972. “Fu quella la prima vera pietra della costruzione della superstrada” ricorda l’avv. Raschellà, sottolineando orgogliosamente di aver proposto per primo nel gennaio del 1968 questa grande opera, completata molti anni più tardi. A quell’impresa non fu estraneo l’aiutino fornito nel sottobosco della burocrazia romana dal suo grande amico Vincelli, che all’epoca svolgeva un importante incarico di governo, essendo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Oggi l’avvocato Raschellà vive di ricordi e di riposo. Varcata ampiamente la soglia dei 90 anni, la salute un pò malferma, il passo debole, è immerso nelle letture e negli studi, sua grande e mai archiviata passione. La sua libreria è ricca di testi teologici e religiosi in genere. Incontra volentieri gli amici che vanno ancora a trovarlo, e soprattutto mantiene la lucidità dei tempi d’oro. I suoi interventi in consiglio comunale venivano ascoltati nel silenzio più profondo, la sua oratoria era quella del politico e del grande avvocato assieme, certe volte questa seconda gli prendeva la mano e si lasciava andare nei confronti degli avversari a vere e proprie requisitorie. Ma nessuno ricorda mai di averlo sentito insultare o attaccare personalmente i rivali. Lui non rispondeva mai per le rime, nemmeno quando veniva dileggiato pesantemente, come avvenne più volte ad esempio in occasione della campagna elettorale per il suo secondo mandato di sindaco, durante la quale furono usate nei suoi confronti parole e toni davvero pesanti. Tempo addietro ho intervistato l’avv. Raschellà in vista della pubblicazione di un libro (Lessico della memoria) dedicato a cose e storie paesane. Ecco alcune sue risposte alle mie domande:

Parliamo delle elezioni del 1967, di quella candidatura e di quella vittoria che vi portò a fare il sindaco di Cinquefrondi: come andò?

Raschellà: Lì il tempo ormai era maturo, la sezione della Dc era piena di giovani che avevano messo in piedi una buona presenza politica. C’era stato d’altra parte un ventennio di amministrazione delle sinistre a Cinquefrondi, del Fronte Popolare che aveva vinto le elezioni sull’onda di un rigetto per la Dc per la prima esperienza fallimentare di governo locale dopo il fascismo. Nel 1946 infatti la Dc ebbe una vittoria fortemente maggioritaria a Cinquefrondi, sennonchè la scelta del sindaco, da parte dell’allora, non dico gruppo dirigente, ma dei notabili del partito, non andò incontro a quella che era stata la volontà del popolo, e fu scelto come sindaco l’avvocato Giuseppe Guerrisi, imponendolo quasi agli altri consiglieri; mentre il popolo aveva dato il suo indirizzo per la persona dell’avvocato Raffaele Tropeano, che in quel momento aveva un grande seguito popolare. Le cose non andarono bene, ne nacquero polemiche e contrasti e questo fece sì che alle successive elezioni divenne vincitore il Fronte Popolare. Ma dopo vent’anni di gestione della sinistra era il momento di voltare pagina.

A quei tempi non c’era l’elezione diretta del sindaco, come avviene oggi. I cittadini eleggevano il consiglio comunale e poi i consiglieri sceglievano chi doveva essere il primo cittadino. Come andò la vostra elezione a sindaco?

Tra noi ci fu un’indicazione, direi quasi unanime, sulla mia persona, si riconosceva in me, in quel momento, la leadership della DC a Cinquefrondi, perché avevo avuto un ruolo provinciale, ero stato nominato commissario di zona della DC (quindi avevo rapporti politici con i paesi vicini). E quindi c’è stata l’indicazione.

Chi altro faceva parte di quella squadra che vinse le elezioni?

La lista comprendeva persone di grande prestigio popolare: vi erano, diciamo, nominativi tutti nuovi. La prima giunta era composta da me sindaco, dal signor Antonio Circosta (che ebbe un’affermazione personale molto va-sta), da tuo padre, il prof. Filippo Gerace (che ebbe assegnato l’assessorato della pubblica istruzione), dal geometra Vincenzo Cotroneo (che ebbe l’assessorato dei lavori pubblici), del signor Domenico Napoli (che ebbe quello dell’agricoltura). Assessori supplenti furono allora: il signor Pietro Giordano, e il signor Pasquale Cannatà. Poi durante il percorso, a un certo momento si crearono dei dissidi tra l’assessore Cotroneo e l’ufficio tecnico, per cui Cotroneo si dimise di assessore, e al suo posto venne spostato come assessore effettivo Pietro Giordano, e assessore supplente subentrò Pietro Belziti.

Abbiamo amministrato per 5 anni in maniera veramente trionfante, fu una soddisfazione grandissima. Ricordo che la prima seduta di giunta l’abbiamo tenuta esattamente il 15 gennaio 1968, all’indomani del terremoto del Belice in Sicilia. E la prima delibera che abbiamo fatto, è stato lo stanziamento di un contributo, ricordo esattamente anche la cifra, di 100.000 lire di quei tempi, a favore della popolazione colpita dal sisma.

Quali opere pubbliche in quegli anni sono partite, o sono state fatte?

In quegli anni c’è stato un impegno total. Basta dire che un mesetto dopo che ci siamo insediati, quindi a gennaio 1968, presi io l’iniziativa per quanto riguarda la costruzione della superstrada Jonio-Tirreno. Anzi ho qui il telegramma con il quale l’onorevole Vincelli (al tempo segretario alla Cassa del mezzogiorno), mi ha comunicato che era stata deliberata l’approvazione della perizia per il cantiere da cui poi partì la costruzione dell’autostrada. L’iniziativa l’abbiamo presa io personalmente, insieme all’amministra-zione comunale, e tutto il consiglio. Abbiamo indetto una riunione alla Limina di tutti gli amministratori dei paesi vicini: Polistena, Anoia, Maropati, San Giorgio, poi dalla parte ionica Mammola, Gioiosa, Siderno, ci siamo ritrovati a pranzo al ristorante Azzurro. Lì abbiamo discusso e deciso di sottoporre alla Cassa del Mezzogiorno un’ipotesi di lavoro per la costruzione della superstrada, partendo dal progetto che c’era, ma era stato interrotto da anni, per il congiungimento della ferrovia Calabro-Lucana tra Cinquefrondi e Mammola. Esisteva un progetto per unificare queste due stazioni, e noi offrimmo alla Cassa del Mezzogiorno quella ipotesi progettuale, sostenuti dal parere tecnico dell’ing. Logozzo, il quale era anche il rappresentante se non ricordo male di Gioiosa o di Grotteria. La Cassa valutò positivamente quell’ipotesi. E partì la perizia di cui parlavo prima, di cui ho il telegramma originale del 27 dicembre del 1972 che conservo come cimelio storico. Aggiungo che feci quella proposta anche come omaggio alla memoria dei miei genitori, perché mi ricordavo fin da ragazzo che mia madre, quando dovevamo attraversare la Limina per andare da Cinquefrondi a Mammola…povera donna, stava malissimo a causa della strada tutta curve. Anche come omaggio a lei, ho pensato immediatamente all’ipotesi di ricongiungere le due sponde di Jonio e Tirreno.

Il telegramma per il finanziamento dei lavori della superstrada

 

Com’era Cinquefrondi in quegli anni, che cosa vi ricordate di quel paese? Quali erano i problemi principali all’epoca?

Probabilmente, il problema più grande era l’approvvigionamento idrico. Cominciava infatti a essere obsoleto e insufficiente l’acquedotto storico, per il quale aveva lavorato moltissimo il podestà Francesco Della Scala. Va ricordato che Della Scala, che già stava molto male con la salute, si recò a Roma, al ministero dei Lavori pubblici, e da lì prima che morisse mandò un telegramma con cui diceva che finalmente aveva trovato la soluzione per dissetare Cinquefrondi. Ma da quel giorno ormai erano passati tanti anni, la popolazione era cresciuta. Quindi bisognava assolutamente reperire nuove fonti di approvvigionamento idrico. In pratica Cinquefrondi era quasi senz’acqua.

Il paese ha sempre avuto il problema dell’acqua.

Ci siamo buttati a capofitto, e in pochi mesi siamo riusciti a trovare una soluzione. Sono stato allora a Roma insieme…non mi ricordo chi c’era con me (mi pare proprio l’assessore Gerace, tuo padre) e abbiamo preso i contatti giusti. Ho avuto la fortuna di poter incontrare Carmelo Albanese, presidente di sezione della Corte di Cassazione (nativo di Cinquefrondi), che era in ottimi rapporti con Gabriele Pescatore, presidente della Cassa del Mezzogiorno.

Lui da una parte, le influenze politiche dall’altro tramite Vincelli, e quindi Fanfani, siamo riusciti ad avere ascolto dalla Cassa del Mezzogiorno. Pescatore immediatamente ci ha accontentato, suggerendo che venisse creata quella che è stata poi la struttura per l’approvvigionamento idrico di Cinquefrondi. Il pozzo, i serbatoi lungo la strada di Petricciana e tutto il resto, furono realizzati dal Comune di Cinquefrondi con i fondi dell’allora Cassa del Mezzogiorno. Tutto questo, per la verità, non è che sia stato facile…abbiamo avuto un’opposizione dura da parte delle minoranze del consiglio comunale, qualche volta anche l’ironia, perché sostenevano che non ce l’avremmo fatta.

1968 – il sindaco di Cinquefrondi offre l’olio per la lampada votiva al santuario di san Francesco di Paola

Quali altre opere vi ricordate di aver avviato?

Le fogne. A Cinquefrondi la rete fognante non esisteva e noi l’abbiamo realizzata praticamente partendo dal nulla. E poi importantissima pure l’apertura delle prime strade di campagna che a quel tempo erano assolutamente inaccessibili, avevamo Trachè, San Filippo, Prunia. Le abbiamo fatte con fondi comunali, un poco alla volta ci siamo riusciti. Queste sono state le opere più impegnative.

Poi c’è un asilo comunale che sorge proprio di fronte a casa vostra, in via Buozzi…

Questo è il frutto di una legge che abbiamo sfruttato soltanto noi, per la verità. Io avevo allora un segretario comunale, il rag. Monea, grandissimo, un segretario comunale che vedeva lontano. Lui mi suggerì di utilizzare una certa legge, e così l’abbiamo costruito. Abbiamo fatto poi altri lavori, per esempio le scuole di campagna, l’ampliamento della strada del cimitero (che prima sembrava un sentiero per le capre), la bonifica dello Sciarapotamo. Lavori di una certa imponenza.

Che cosa ricordate con più piacere di quegli anni da sindaco ?

Io ricordo due iniziative con particolare piacere. Quando ci siamo insediati, per rispetto per un fatto tradizionale della cultura e della storia di Cinquefrondi, ho voluto inserire nel bilancio comunale un contributo per il complesso bandistico, che prima non c’era mai stato. Se avessi visto le cose dal punto di vista partitico, non avrei dovuto farlo: perché il complesso bandistico era tutto composto da persone non certo militanti per la Dc che era il mio partito. Oltre al maestro che era Carlo Creazzo, il vice era il sarto Leonardo Raso, la cui bottega (in Via Milazzo, ndr) era una fucina di esperienza marxista. Chi entrava là dentro, usciva comunista con il marchio. Quindi se avessi ragionato su posizioni partitiche, non avrei dovuto stabilire di dare un contributo alla banda musicale cittadina. Però, indipendentemente da questo, siccome riconoscevo che il complesso bandistico era un patrimonio culturale di Cinquefrondi, che andava aiutato e sostenuto, ho previsto nel bilancio comunale il contributo.

1972 – Raschella con don Giovanni Galluzzo e l’assessore Raffaele Tropeano inaugura il nuovo asilo comunale. Il ragazzo a sinistra con gli occhiali è Michele Carlino, oggi giornalista del Tg3. Sullo sfondo altri cinquefrondesi

L’altra cosa della quale ho un ricordo veramente piacevole, è che ho stanziato un premio (in quei tempi 50.000 lire, una bella somma) per un ragazzo e una ragazza che si sarebbero diplomati alla scuola media di Cinquefrondi come i migliori. E quella è stata anche un’iniziativa dal punto di vista culturale, che abbiamo ritenuto particolarmente importante.

C’è un’altra cosa che ricordo con grande piacere: ho dato al comune di Cinquefrondi, per circa trent’anni o anche più, gratuitamente, un mio locale per la scuola rurale in contrada Trachè.

Che vuol dire che avete ‘dato’? che era di vostra proprietà?

Esattamente. Era allora sindaco l’avvocato Cimino, il quale mi chiese quanto volessi di affitto dal Comune per destinare quel locale a scuola elementare. Io gli dissi che non volevo niente, e quella scuola rimase aperta per circa trent’anni a disposizione dei ragazzi di Cinquefrondi che vivevano in quella campagna.

A quei tempi non era come oggi, che tutti vanno alla scuola del paese. Nelle campagne vivevano moltissime famiglie, non c’erano strade e mezzi per portare i bambini a scuola tutti i giorni. Così in diverse zone rurali c’erano i distaccamenti della scuola elementare, penso a Gunnari, a Trachè, a Petricciana. Lì si recavano gli insegnanti e i bambini potevano frequentare le lezioni normalmente, senza doversi sobbarcare lunghi e difficili spostamenti quotidiani. Nella contrada Trachè, come dicevo, la scuola fu aperta in un piccolo fabbricato di mia proprietà, rimasto a disposizione del Comune per decenni, e io non ho mai voluto alcun compenso.

Mi viene in mente anche un’altra cosa: non ho mai percepito le indennità di carica, e con quei soldi risparmiati acquistai i mobili dello studio del Sindaco e feci pure realizzare una grande fontana ornamentale in piazza Marconi, che poi anni dopo l’amministrazione del sindaco Manferoce ha fatto demolire. Era una bella opera, ci sono ancora fotografie in giro, illuminata la sera. Anche quella fu costruita con i soldi della sola indennità di sindaco che io non ho mai voluto percepire.

1970 – il sindaco Raschellà consegna il premio a Domenico Pepè, risultato l’alunno più bravo dell’anno alla scuola elementare

Qual è stata invece la vostra delusione più grande, avvocato, in quegli anni? Qualcosa che vi ha ferito o che ricordate come particolarmente negativa?

Fatti negativi non riesco a focalizzarne. Oddio, discussioni e polemiche ce ne sono sempre state, però fatti davvero gravi no, non riesco a ricordarne.

Ci sono errori che pensate d’aver fatto, avvocato, e che forse oggi non rifareste nell’attività politica, nelle scelte, nei compagni di viaggio?

I compagni di viaggio, no. Li confermerei tutti, perché sono stati tutte ottime persone, anche se ognuno con la sua sfaccettatura e via di seguito (perché le persone non sono tutte uguali). Scelte politiche di fondo, no. Posso dire soltanto, che dal punto di vista egoistico per esempio, mi sono pentito…o diciamo che forse avrei fatto meglio ad accettare qualche cosa dal partito, invece di irrigidirmi su posizioni di principio. Nel 1975, alla vigilia di essere nominato segretario provinciale ero stato indicato quale candidato alle elezioni regionali. Siccome la mia candidatura si muoveva nell’ambito della corrente di Fanfani, che poteva dare fastidio ad altri amici che erano della stessa corrente, vi fu, da parte del partito una richiesta che io rinunciassi alla candidatura e accettassi invece la presidenza del Consorzio aeroportuale di Reggio Calabria, oppure la presidenza degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. Ma siccome avevo già accettato la candidatura, a me sembrò dignitoso rispondere di no. Così ebbi la candidatura alle Regionali, ma fui lasciato solo dal partito e naturalmente persi anche la presidenza di uno di quegli enti. Forse oggi, col senno di poi, penso di aver sbagliato, perché avrei anche potuto dire di sì.

Come vi piacerebbe essere ricordato?

Come una persona che ha voluto bene al paese e a tutti i concittadini

 

 

 

 

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