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Nuovo appuntamento con le parole del dialetto cincrundisu che sono scompase dall’uso quotidiano o stanno per farlo. Ricordiamo a tutti i nostri lettori che questa rubrica non ha pretese di studio dialettologico o linguistico (per quelle rimandiamo ai grandi professori). Questo è solo un piccolo e amichevole spazio dove, sulla base dell’esperienza quotidiana, che ciascuno di noi può constatare di persona, raccogliamo e presentiamo quelle parole del nostro dialetto che non si sentono più pronunciare durante i nostri discorsi o si sentono sempre meno. 

 

di Mimì Giordano

Cacasèntara: verme, lombrico, si muove allungandosi e restringendosi su sè stesso.

Cacatìcchîu: modi fare da saputello, da arrogante. Modo di dire paesano: Si misi  ‘mu parla ‘’n cacaticchîu – Ha cominciato a parlare con saccenteria, con auto compiacimento. L’abate Giuseppe Conia così recitava: “Suric’orbu fetusu, ‘ncacaticchîu ti menti tu cu  Deu. Vi’ chi babbeu!”

Càfaru: una parte cartilaginosa delle ossa del maiale o della vaccina. Croccante, friabile o farinosa  a seconda della parte anatomica dell’animale.

Cafìsu: antica unita di misura locale corrispondente a 18 litri, tipica dell’ attività frantoiana e olivicola.

Càfiu: vicolo fra casupole basse in un sottopassaggio. Zona del vecchio centro storico di Cinquefrondi  vicina alla Chiesa Matrice.

Càggia: gabbia. Proverbio dal dizionario calabrese italiano del Prof. Francesco Laruffa (1908-1972):  l’accèdu ‘ntra la càaggia canta pe’ mbìdia o pe’ arràggia. = L’uccello in gabbia canta per invidia o per rabbia (nel vedere gli altri uccelli liberi)

Calaminduni: spilungone, ma anche sfaccendato, gironzolone. Parola originaria dal greco, usata spesso con accezione negativa

Calijàri: seccare al sole oppure al forno. Dal latino caleo. Da questo termine deriva càlia o càglia, quei ceci croccanti che tanto piace sgranocchiare durante le feste, assieme alla  “nucidha” (noccioline tostate), ai “popizzi” (semi di zucca torrefatti)  e alle fave secche (anch’esse infornate).

Calipinu (taluni dicono Calipilu): qualcosa che da fastidio, un discorso noioso, cavilloso, tendente a trovare scuse. Termine di  derivazione greca.

Cammaràri: mangiare carne  nei giorni in cui le regole della Chiesa non lo consentono.

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