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Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle parole scomparse o quasi dal linguaggio quotidiano dei cinquefrondesi, oggi ancora attenzione concentrata sulle parole che cominciano per r. Una di esse, rogagghj, mi fa tornare ai tempi in cui nei nostri quartieri si aspettava l’occasione di un matrimonio. Appena finite le nozze, infatti, sotto al balcone dove sposi e parenti si scambiavano gli auguri, arrivava il momento del lancio di confetti e cioccolatini, ma soprattutto di monetine. Segno augurale e di festa per gli sposi. Torme di ragazzini si avventavano su monete e cioccolatini, trascurando un pò i confetti. Ogni volta erano due o tre minuti di delirio, ma anche di allegria e di immensa felicità per quei piccoli, alle prese con una insperata grazia. Ricordo di aver partecipato di persona con i miei amichetti del quartiere a diversi di quei momenti, quando abitavo al Rione Torre. Presto l’abitudine antica dei rogagghj è stata abbandonata, oggi forse pochi si ricordano di quei lanci.

Mimì Giordano

di Mimì Giordano

Rodìndia  – granturco, mais. ‘U pani e ‘u viscottu, oppuru ‘i  frisedhi di rodìndia. Che nostalgia di tutte le volte che da bambino aspettavo che arrivasse da Cittanova, dal forno a legna della vecchia casa di primo ‘900 dei miei nonni materni, dove lo impastavano e lo infornavano due zie.E che nostalgia quando,ventenni e trentenni, ci si ritrovava con gli amici e ci luccicavano gli occhi di contentezza di fronte a quattru morza di pani o di tozzu di rodìndia con suriaca rossa o bianca e un fiasco di vino. Con i compianti  Peppe Bulzomì (il professore), Ciccio Trimboli, Totò Condoluci (Troppitu), Vicenzinu Tropeano, Gino Macrì. Ce l’ho nella mente e nel cuore quei sapori, quei momenti, ma sopratutto quegli amici. E le stornellate in paese accompagnati dalla chitarra o dal clarino di Vicenzu Boeti, che era della compagnia.Che semplice allegria!  U pani di rodìndia una o due volte al mese lo voglio sulla tavola da pranzo e la suriaca armenu ‘na vota a simana, pe’ leggi!…

Rogàgghj – erano i confettini, il riso e le monetine che i parenti e gli amici degli sposi lanciavano loro all’uscita dalla Chiesa. Anticamente questi rogàgghj/regali li faceva al popolo anche il prete che prendeva messa. Nel nostro paese, se non ricordo male, era il nomignolo di Peppe Bruzzese, il caro barbiere di via Roma, morto prematuramente a fine anni ’60, grande tifoso del Torino, come il suo amico Ciccio Misiti, frequentatori dell’indimenticabile Bar dello Sport di Agostino Pronestì, dove molti di noi sono cresciuti a pane, biliardino e Juve

Romanedhu – cordicella, spago sottile

Romaticu – reumatismo. Bella l’espressione di tante donne del paese, che consumate dai lavori in campagna e in casa, qualche volta le sentivo dire: ” E chi vi pari ca eu nd’aju sulu ‘a cardeca a lu cori ? Sugnu rovinata puru di romatici! ” Chi non è stato addentro al modo di parlare dialettale e popolare di sessant’anni addietro, riderà di questa espressione, ma la cardeca a ‘lu cori altro non erano che i disturbi cardiaci, magari non approfonditi (all’epoca l’eco-cardio e la coronarografia erano nei sogni…) I reumatismi erano la conseguenza dell’umidità accumulata dalle ossa per il lavoro agricolo o edilizio o a cause delle abitazioni carenti di protezione e di calore in inverno. Ma i medici del tempo si impegnavano a combattere queste patologie con i farmaci e il calore del loro impegno e della loro presenza.Così fece il grande e compianto dottore Michele Galluzzo a mio padre nella metà anni ’30, quando nelle contrade della Limina, a Sciofì, alla Surriola e qualche altra, mio nonno, mastru Petru Giordano, i suoi figli e i loro operai costruivano i muri in pietra per arginare frane, smottamenti e altri rischi. Mio padre, poco più che ventenne, anche in inverno saliva e scendeva dal paese con la moto; per la pioggia e il forte vento freddo che gli sferzava sul petto si beccò una gravissima poliartrite reumatica, che solo il dottore Galluzzo potè curare con competenza e calore umano.

Rovaci – recipiente in legno, fatto a doghe che conteneva cereali o simili e la cui unità di misura corrispondeva a 18 litri

Ruffianu/a – mezzano, sensale. Desidero raccontare nuovamente un aneddoto personale, che raccontai qualche anno addietro nelle prime pagine della presente rubrica e quando ancora non era stato pubblicato questo sito, ma c’era il blog. Dunque, quando avevo meno di trent’anni, Mela Ciccone di Perciana (era del 1929, oggi defunta) e che si distingueva per l’attività marginale, esente IVA, di “matrimonara”, venne nel mio ufficio per il disbrigo di una pratica. Mentre ero intento a compilare per lei un modulo, mi disse: “ Mimì, tu voi ‘mu ti spusi, ca ti l’addùbbu eu ‘nu bellu matrimoni cu una di lu Casali ?” Quanto per precisare, Mela, (rifriscu e riposu ‘mu ndavi l’anima sua), il paese di Giffone, nel 1982 lo chiamava ancora Casali, antico nome di quel paese. “Oh Mela-  le risposi in dialetto – eu non nd’aiu nenti cuntr’ a li fimmani di Giffoni, ma secundu tia, se decidu ‘mu mi spusu, nd’aju bisognu di la senzàli chi m’addùbba lu matrimoni?” Riprese la cara Mela “Ah, ah,ah!  Nd’hai raggiùni, nda’ raggiùni bellu meu ! ” Mela era così, grande lavoratrice agricola e pure ruffiana, sensale e mediatrice

Ruga – piccolo rione, piccolo quartiere. A Cincrundi caratteristica è la ruga di l’abbàti. Ci si arriva imboccando la traversina di via Cavour (‘u Burgu) dove faceva angolo il negozio di Andrea Proto, l’amarfitanu

Rumbàri –  Rombare, è il forte rumore dei tuoni, ma rumbàri nel nostro dialetto popolare significa anche fare sesso

Rumbulijari – avvolgere, arrotolare. Nella forma intransitiva del verbo dialettale rumbulijarsi significa attardarsi, perdere del tempo per sbrigare qualcosa o per parlare con qualcuno

Runcìgghju – roncola, piccola falce, attrezzo da lavoro agricolo. Si usava questo termine per indicare la persona che, a causa delle patologie della colonna vertebrale, era incurvato. “L’amaru cumpari Loiggi si cumbinau a runcìgghju”

Rùscula – Asparagi piccoli, teneri.

Russàina – rosolia, malattia esantematica che si presentava con macchie rosse sulla pelle.

Rusicari – rosicchiare, digrignare i denti. Il detto rusicari ‘i gùvita significa invece rosicare, rodersi per la rabbia, recriminare.

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