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Ci sono parole del nostro dialetto che non usiamo quasi più. Presto scompariranno del tutto, sostituite da altri termini più moderni e appropriati così come individuati dalle inevitabili trasformazioni del linguaggio e della comunicazione. Un fenomeno, va detto, che non si governa a tavolino e che nessuno può essere in grado di condizionare in alcun modo. Insieme con Mimì Giordano che non è un linguista, ma un grande appassionato del dialetto, proviamo a raccontare dal di dentro alcune parole o espressioni che ormai si sentono sempre meno nelle nostre conversazioni in cinquefrondese. Sappiamo già che si verificheranno problemi di traslitterazione, perchè la pronuncia dialettale non sempre si può tradurre in modo netto o univoco con il nostro alfabeto, e ciascuno ha la sua opinione. Ma siamo certi che i lettori capiranno.
di Mimì Giordano
Ringrazio prima di tutti Francesco Gerace se ai terzi “anta” della mia vita, fra le mura domestiche, e non in aule didattiche, ho intrapreso la ricerca dei termini e dei verbi in disuso del dialetto cinquefrondese e ho navigato fra i ricordi dell’infanzia, della giovinezza e dell’età matura alla ricerca di frasi, espressioni, esclamazioni tipiche della gente del nostro paese.
Fu Francesco infatti a regalarmi nel 2003 un dizionario del dialetto calabrese da lui scritto e fu l’inizio. Quando poi ebbi in mano il dizionario calabrese-italiano di Francesco Laruffa, contenente anche poesie e saggi in dialetto polistenese , che è diverso dal nostro, ma ha cose basilari in comune, la curiosità crebbe e si tramutò in legame ed interesse che mi porterò per sempre.
Chi fu Francesco Laruffa ? Dico, intanto, che nacque a Polistena il 27 dicembre del 1908, giorno tristemente fatale per la Calabria, chè nella notte successiva fu devastata dal terremoto. Francesco Laruffa fece con amore e passione l’insegnate a Roma, sposò Cesarina,una donna lombarda conosciuta quando prestava servizio militare in quella regione e dove conseguì da autodidatta il diploma di maestro di scuola. Non più giovanissimo, tornò a Polistena e volle frequentare l’Università di Messina,dove si laureò in pedagogia.
Dei 4 figli avuti da Cesarina, due li perse ancora giovani, entrambi a causa di infarto. Fu un uomo forte,oltre alla professione in Roma si dedicò alla poesia, allo studio del dialetto chjanotu, sempre con la testa e il cuore a Polistena e quando poteva vi ci tornava. Gli altri due figli, Anna, che è stata apprezzata insegnante di italiano in un liceo romano e Dario, che è un volto notissimo della RAI, in quanto giornalista conduttore di TG e attualmente inviato della RAI a New York sono entrambi legatissimi a Polistena. Questo breve ricordo avevo nel cuore di farlo, in quanto proprio il 19 marzo è stato il 50° anniversario della scomparsa del maestro Laruffa.
A completare il trittico di dizionari che mi hanno insegnato e mi insegnano giornalmente qualcosa del dialetto calabrese, c’è la scoperta di poco tempo addietro del dizionario etimologico di Giovan Battista Marzano, anch’egli nato a Polistena nel 1842 e deceduto a Monteleone (oggi Vibo Valentia) nel 1902. Marzano visse tanto tempo anche a Laureana di Borrello, dove è sepolto. Conseguì la laurea in Legge a Napoli e scrisse,appunto un dizionario etimologico calabrese, non pubblicato per impedimenti vari fin quando fu in vita; fu infatti pubblicato postumo nel 1928.
Nella prefazione al dizionario Raffaele Corso, antropologo calabrese nato nel 1885 a Nicotera, conclude “…. Il vocabolario di Marzano precorre,preparandone il terreno, quel movimento di studi sulla grecità essenziale dei dialetti meridionali, che, ai nostri giorni, ha avuto il migliore e più infaticabile assertore nel filologo tedesco Gerald Rohlfs.” Il dizionario etimologico calabrese di Marzano consta di circa 3000 voci e secondo l’autore la stragrande maggioranza di esse ha origine greca, e la cita.
Pur non avendo egli dato vita ad un dizionario, vorrei ricordare l’opera di Gigi Massara, le poesie, i proverbi nel nostro dialetto “cincrundisu “ con le con regole di trascrizione e dei quali proverbi ci regala anche la corrispondente versione francese e inglese. Gigi Massara promana cinquefrondesità del linguaggio, del lessico.
Da semplice appassionato e senza cultura poetica, l’aver ricordato questi tre ispiratori della mia passione, non esclude quanto proviene dall’opera di Pasquale Creazzo. Egli fu poeta dialettale vero e proprio, ma ad onor del vero dopo aver letto le pagine dei dizionari di cui sopra,trovo più fedele al dialetto cinquefrondese e alla sua fonetica le poesie e i proverbi di Gigi Massara, che aveva profonda cultura umanistica e glottologica. Da Massara, Marzano e Laruffa apprendo e rispondono alla mia curiosità, Creazzo lo apprezzo e lo rispetto, Francesco Gerace lo ringrazio. La scossa che m’ha dato lui con il suo dizionario sta ancora funzionando e la nascita del blog ‘Cinquefrondi nel tempo’ si rivela un avvolgente pungolo a sentire più fortemente le radici del paese natìo.
Iniziamo un viaggio nel dialetto cinquefrondese con una parola alla volta, e il ricordo di un eventuale proverbio ad essa legato.
Ahhiari (o Ahhjàri) = TROVARE
Verbo transitivo. Dal latino afflare = raggiungere con il fiato, rinvenire. Nel nostro dialetto l’h iniziale prende il suono della ventiduesima lettera dell’alfabeto greco, la χ. Questa lettera, e il suono che rappresenta, fanno anche parte dell’alfabeto calabrese meridionale, sono presenti in parole come χumara ( fiumara) χangazza (fessura) χaccari (piegare, spezzare) hjatu (fiato) e altre, di solito per rappresentare l’evoluzione del nesso latino ” fl “. Vedi flos (fiore) che noi pronunciamo χiuri . I linguisti definiscono questa pronuncia fricativa palatale. La sua presenza è dovuta sicuramente all’influsso greco bizantino del suo passato. Questo suono non è presente nella fonetica italiana. Per evitare di confondere chi non conosce questa lettera χ ,tutte le parole che hanno la stessa pronuncia le presenteremo con l’ h iniziale. Ad esempio, appunto, hiuri
Aneddoto: qualche anno addietro ho cercato di convincere un’amica alto- atesina a pronunciare la parola hiuri ed è stato più facile di un amico piemontese…infatti la lingua si ritrae facendo toccare i lembi ai molari superiori e la punta rimane libera. Mi sono subito spiegato perché l’amica altoatesina sapeva farlo più o meno bene. Parlava tedesco….
Proverbio/filastrocca antica, dedicata alla donnicciola un po’ vagabonda con la parola ahhjàri:
Tuttu luni, lunijai
marti e mèrculi no’ filai
giovi perdìa lu fusu
vènnari l’ahhjài
sabatu mi fici la testa
E dominica fu festa