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Affezionati lettori della rubrica delle parole e dei proverbi dialettali cinquefrondesi, presentiamo oggi una lettera dell’alfabeto greco antico che ci appartiene fortemente, ma della quale in realtà non tutti sappiamo molto.
E’ una lettera che non si trova nel nostro alfabeto moderno ed è anche di pronuncia non sempre univoca, e soprattutto di pressochè impossibile scrittura (ve ne accorgerete più avanti).
Ce ne parla come sempre l’appassionato curatore di questa pagina speciale dedicata alle parole scomparse (o quasi) della nostra terra, nella quale si scoprono cose e informazioni sempre nuove sul dialetto che si parla a Cinquefrondi.
di Mimì Giordano
Nella nostra storia linguistica esiste una lettera che non fa parte dell’alfabeto moderno e ci aiuta nell’esatta trascrizione di alcuni nostri termini dialettali, una lettera che, per certi aspetti, potremmo definire misteriosa, di difficile pronuncia e che l’abitudine (e le tastiere di macchine da scrivere e pc) hanno banalmente trasformato, modificandola spesso e altrettanto spesso creando qualche incertezza (e pure confusione) in quanti ancora oggi scrivono soprattutto poesie dialettali.
Questa lettera è la χ .
Graficamente somiglia a una x (ics) con la punta inferiore arrotondata, è la ventiduesima dell’alfabeto greco antico e fa parte dell’alfabeto calabrese meridionale: è definita dai linguisti e dai glottologi fricativa palatale e può essere sorda o sonora. Nel primo caso (palatale sorda) pronunciandola non c’è l’azione delle corde vocali, la punta della lingua non deve toccare i denti incisivi superiori e l’aria fuoriesce dalla bocca fra lingua e palato superiore; ad esempio pronunciando χiumàra (fiumara). Nel secondo caso (palatale sonora) le parole si pronunciano ritraendo la lingua e azionando le corde vocali come ad esempio pronunciando χàccia (accetta, scure) .
Autori di dizionari calabrese-italiano come Giovan Battista Marzano (1842- 1902) e Francesco Laruffa (1908-1972), per una maggiore semplicità, al posto della χ hanno inteso utilizzare nei loro dizionari la più conosciuta h (acca). Ma noi, per una fedele trascrizione delle parole di questa puntata della rubrica, adottiamo e proponiamo la χ. (Purtroppo come il lettore noterà anche in questo articolo la lettera χ viene automaticamente trasformata in x, ma non siamo riusciti a trovare un altro modo per riportarla fedelmente).
In generale la χ è presente in parole come χiùri (fiore), χiangàzza (fessura, spiraglio) χiaccàri (spezzare, piegare,tagliare) e anche χianìa ( lo spinoso riccio che contiene la castagna) e altre. La sua presenza è dovuta sicuramente all’influsso greco bizantino nelle Calabrie. Questo suono non è presente nella fonetica della lingua italiana.
Elenco di parole:
χiàcca : (vuol dire anche fiacca,pigrizia)
χiàncu : fianco
χiancunàta : è la parte laterale di qualcosa, ma mi viene in mente quella del pane, il suo profumo e la sua forma opacizzata, non abbrustolita ma croccante, dal gusto particolare rispetto al resto del medesimo pane. Sento il profumo della χiancunata del bastone di grano che da ragazzino mia mamma mi faceva acquistare al forno storico per eccellenza di Cincrundi, del quale era proprietario l’indimenticabile don Nino Borgese. Mi pare di percepire in questo momento l’avvolgente calore e l’inconfondibile sapore di pane che inondava l’incrocio fra il corso Garibaldi e l’inizio della Via Cavour (‘u Burgu). E quando si entrava dentro il forno il profumo era ancora più intenso. Don Nino Borgese e la moglie Mariangela Gallo sono state due figure di impareggiabile umanità, che durante gli anni drammatici della guerra non fecero mancare a nessuno il pane e nei decenni successivi continuarono, assieme ai loro operai, l’attività panificatoria con autentica onestà e profondo amore per il mestiere, continuata, dopo la loro scomparsa, dal figlio Armando, anch’egli profondo conoscitore della cultura della panificazione e – per certe produzioni – anche dell’arte pasticcera.
χiatàri : fiatare, respirare. Da questa parole una nostra tipica espressione fortemente affettuosa, χiàtu meu (fiato mio, gioia mia)
χiàscu : fiasco
χiàvuru : odore
χiòcca : gallina, chioccia che cova le uova con i pulcini
χìsca : vaso di legno con le doghe,adatto per mungere il latte; secchio
χiùnda : fionda (detta anche furcatera o furcatedha)
χiùχχiàri : soffiare, alitare
Come dicevamo sopra, la lettera χ ha una diversa pronuncia (fricativa palatale sonora) nelle parole come χàccia (accetta, scure) e altre. Le pronunciamo ritraendo la lingua e appoggiandone i lembi al palato rigido, azionando le corde vocali. Ecco due parole diffuse del nostro dialetto con questa lettera e questa pronuncia:
χasmijari: sbadigliare, da cui χasmu (sbadiglio)
χaχòmulu: fragolina selvatica
Non è un “post”, un commento. È un appassionato invito ai lettori della rubrica alla quale ho il grande piacere di dedicarmi: intervenite, esprimete il vostro parere su questo sito, questo spazio è per voi; se trasformiamo la nostra passione per il nostro dialetto in impegno a preservarlo dal rischio di estinzione che il passare del tempo comporta, avremo raggiunto un grande obbietivo: conserveremo l’identità, il dialetto, la cinquefrondesità alimentando il fuoco della tradizione. Ogni cincrundisu affezzionatu a lu dialettu nostru poti scrivìri corchi palora strana,antica chi – mecàri- dicìa lu nonnu o la nonna. Eu sugnu assai cuntentu ‘mu la commentamu assèmi.
Mimì Giordano
Questa, relativa alla 22^ lettera dell’alfabeto greco, è la prima puntata che – per mia colpevole pigrizia, lo ammetto – mi capita di leggere della quanto mai azzeccata e interessante rubrica di parole e proverbi dialettali cincrundisi, curata dall’amico Mimì Giordano. Non mi sorprendono la passione e l’encomiabile finalità che Mimì mostra di mettere in questo suo ostinato lavoro di salvaguardia delle nostre radici, a cominciare proprio dal vecchio e caro (e in parte perduto) dialetto cinquefrondese. Dei tanti, dimenticati e opportunamente ripescati, termini dialettali della mia/nostra infanzia, qui proposti da Mimì, mi piace sottolineare, su tutti, Xiancunàta, che per me era (ed é) soltanto l’immagine di un pezzo di buon pane ripieno di qualunque cosa, era (ed é) l’odore e il sapore di casa, di mamma, di affetto, di comunità. Quello stesso odore e sapore familiare che ritrovavo, appena sbucato da via Perdono e all’imbocco di via Cavour, davanti al panificio di don Nino Borgese. Ed ecco che, qui, il lavoro di Mimì Giordano non riguarda più e soltanto le nostre radici linguistiche, ma anche (e soprattutto) quelle sociali, familiari, di un’intera comunità. E infatti, l’autore non si lascia sfuggire l’occasione di tracciare, sia pure con poche ma efficaci pennellate, il profilo della famiglia Borgese, panificatori di spicco della zona, dal padre don Nino fino al figlio Armando. Il recupero e la salvaguardia del nostro patrimonio linguistico diventano così anche recupero e salvaguardia delle nostre tradizioni e della nostra storia. Grazie, caro Mimì. Un abbraccio. Pino Bellocco
Grazie a te, carissimo ed indimenticabile Pino Bellocco. Mi hai pregiato e privilegiato di un commento che rafforza quantomai questa passione e questo attaccamento alle radici. Anche tu ti sei soffermato sul pane, sul suo profumo, su chi nel nostro paese a quel tempo si dedicava alla nobilissima arte della panificazione, la famiglia Borgese. Questo scrigno di ricordi che ci accomuna lo hai impreziosito con le tue parole. Non ti distrarre da questo richiamo, spero che vorrai riservare qualche frangia del tuo tempo a rinnovare il piacere di un tuo commento nelle prossime puntate della rubrica. In alto i cuori e viva sempre Cinquefrondi nel cuore di chi fra le sue case è nato.