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 Luigi Albanese

 

Il Corso è la strada dei bar, a metà della via,  al civico 25, c’era quello di Luigi Albanese. Personaggio di speciale simpatia e produttore inesauribile di storielle e battute divertenti, storico esponente del partito comunista cittadino, benvoluto da tutti, Luigi fu anche sindaco e vicesindaco di Cinquefrondi e consigliere comunale per tanti anni.  

 

Il bar di Albanese, aperto nel 1955, fu tra i primissimi locali nei quali fu installata la televisione; nelle case a quei tempi quasi nessuno ce l’aveva ancora, e la sera in tanti si radunavano per vederla; gli avventori erano così numerosi che a volte Luigi faticava a mantenere la calma. Tutti volevano vedere quella piccola ‘scatola’ magica, ma non sempre c’era spazio adeguato.

Luigi Albanese è un personaggio quasi mitologico della storia di Cinquefrondi del secolo scorso. Intanto va detto che i paesani e gli amici, grandi e piccoli, perfino i ragazzini, lo chiamavano storpiando il suo nome in dialetto, ‘Loigi’. Fu in gioventù uno dei primi giocatori della locale squadra di calcio e militante politico accanitissimo. Era tanto fedele e legato al partito comunista che nel marzo del 1946 fu tra i pochissimi cinquefrondesi che accettarono di sottoscrivere a occhi chiusi il cosiddetto bond ‘per la vittoria della democrazia’. Una sorta di certificato di credito, come quelli del Tesoro o che emettono le aziende per finanziarsi, con i quali il partito comunista chiedeva ai suoi sostenitori un aiuto economico per la campagna elettorale, attraverso un prestito senza interessi da restituirsi alla fine del 1949. 

L’iniziativa fu lanciata dall’allora Pci per le elezioni alla Costituente e Luigi Albanese vi partecipò impegnando la bella somma di 100 lire dell’epoca a testimonianza anche dell’adesione convinta a quell’ideale politico. E anche del coraggio temerario e disinteressato di quest’uomo, che non aveva in mano alcuna vera garanzia che quei soldi gli sarebbero stati davvero restituiti. 

 

Nel bar di Albanese si parlava spesso di politica, a volte si battagliava e nascevano feroci polemiche, ma litigare con Luigi era impossibile. Perché i suoi modi di fare, il suo umorismo talvolta involontario, ma sempre sornione, la sua innata bonomia smontavano qualunque aggressività nell‘interlocutore. Anche i ragazzini si rivolgevano a lui chiamandolo ‘Loigi’, era impensabile dargli del voi. Luigi era per definizione amico di tutti, e tutti gli volevano bene, anche quelli che lui prendeva amabilmente in giro, ed erano tantissimi, con i suoi vorticosi giochi di parole e doppi sensi. Era sempre difficile infatti distinguere quando Luigi diceva le cose in modo serio e quando scherzava; un sorrisetto simpatico e beffardo accompagnava sempre le sue parole. Molti malcapitati venivano così allegramente canzonati dal mite ‘Loigi’, che letteralmente li ubriacava con la sua parlantina imprendibile.

 

Albanese fu vicesindaco negli anni 1953 e 1954, e diventò sindaco di Cinquefrondi nel 1955 quando l’allora primo cittadino l’avv. Francesco Bellocco dovette lasciare l’incarico per un controverso pasticcio burocratico. Scoppiò una specie di scandalo al Comune, seguirono polemiche. Bellocco lasciò il paese, e per qualche tempo dovette addirittura difendersi dalla giustizia. Come mi confidò l’interessato, qualche tempo prima di morire, in quel periodo convulso aveva trovato riparo presso l’abitazione romana dell’on. Fausto Gullo, all’epoca uno dei maggiori leader del partito comunista. Gullo lo protesse e soprattutto gli diede rifugio, finchè la vicenda non venne chiarita. 

In quel periodo Albanese resse il Comune da par suo, tenne le relazioni con le altre istituzioni e organi dello Stato e fece valere il suo senso pratico per sopperire ai pochi studi che aveva alle spalle. Il figlio Teobaldo conserva ancora un biglietto intestato del Ministero di Grazia e giustizia con il quale il Comandante delle carceri lo ringraziava per la sua collaborazione. 

 

I tavolini del bar di Luigi erano sempre affollati, in tanti giocavano a carte e chi perdeva la partita poi, come si usava fare a quei tempi, pagava le consumazioni ai vincitori. Non si giocava a soldi, in palio c’erano i ‘bollini’, cioè dei quadratini di cartoncino, recanti la scritta a penna ‘buono per una consumazione di lire…’ e la firma del titolare del bar. I bollini non necessariamente dovevano essere utilizzati subito, in genere chi se li era guadagnati li riponeva nel portafoglio, per spenderli in seguito. Quei pezzettini di cartoncino scritti a mano erano quindi moneta contante e avevano ‘valore legale’ nel bar che li aveva emessi. Tutti i locali del paese avevano i loro bollini, antesignani dei buoni pasto attuali, con l’unica differenza che i bollini erano naturalmente spendibili soltanto presso il locale che li aveva emessi. Ricordo molte consumazioni di gelati e aranciate nel bar di Albanese grazie ai bollini regalatimi da mio padre, dopo una qualche vincita alle carte. Altri tempi.

Il bar di Albanese godeva anche di un altro privilegio, di natura religiosa, ma dovuto a una casualità. Si svolgeva (e si svolge ancora) infatti proprio davanti all’ingresso del locale il momento culminante dell’Affruntata, la più bella e sentita fra le processioni cittadine, la domenica di Pasqua a mezzogiorno. Un evento che richiama tutto il paese e anche i turisti.

Proprio davanti all’ingresso del bar, avviene l’incontro (da cui il termine ‘affruntata’) fra Gesù Risorto, la Madonna e San Giovanni. In quel momento la banda intona il Mosè di Rossini e le colombe della pace vengono liberate in cielo, fra gli applausi della folla. Subito dopo il parroco dà la benedizione e poi la processione con le statue segue il suo corso. 

 

Il fatto che le statue di Gesù, Madonna e San Giovanni si rivolgessero (e si rivolgano ancora oggi) verso il palazzo del vecchio bar di Albanese ha una origine precisa e non c’entra per nulla con il locale. Come ricostruito dall’avv. Massimo Seminara, priore della Confraternita del Carmine, a fine ‘800 la statua della Madonna apparteneva alla famiglia Papasidero, un cui esponente di nome Flaminio fu anche sindaco del paese. I Papasidero erano devoti e benefattori, e ogni anno, oltre a mettere a disposizione la statua di Maria per le liturgie e le celebrazioni pasquali, sostenevano concretamente la poverissima chiesa cinquefrondese. Così in occasione dell’Affruntata i portatori presentavano le statue verso l’abitazione dei Papasidero, che era esattamente ai piani superiori dell’edificio che ospitava il bar, per rendere omaggio a quella famiglia sempre molto generosa. Quella tradizione dell’omaggio al palazzo dei Papasidero si è tramandata nel tempo, ed è proseguita anche quando di quella famiglia non è rimasto più nessuno in vita, arrivando fino ai giorni nostri. 

 

Il bar di Luigi dunque, già di suo pieno di clienti, per un giorno all’anno e per pochi minuti, diventava anche il centro della più bella festa del paese, e lui ne era giustamente contento e orgoglioso. Luigi viveva per quel locale, nel quale collaborava anche qualcuno dei figli. Non se ne allontanava mai e spesso si sedeva con gli altri avventori.

Il giovane barista-sindaco era anche un bell’uomo e la leggenda cittadina ricorda ancora oggi che tante ragazze del suo tempo erano state innamorate di quel ragazzone dallo sguardo penetrante, sempre sorridente, fisico sportivo, già calciatore della Cinquefrondese, battutista tagliente, futuro consigliere, vicesindaco e sindaco, nonchè conoscitore dei segreti di mezzo paese. 

(Tratto da ‘Lessico dell’anima’ di Francesco Gerace, 2020, foto Archivio Storico Tropeano e Rino Macedonio)

 

 

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