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Oggi parliamo di Michele Albanese, il giornalista cinquefrondese da anni sotto scorta perchè minacciato dalla ‘ndrangheta. Conosco Michele da quando eravamo ragazzi, fui io stesso a proporlo come collaboratore della Gazzetta del sud quando molti anni fa lasciai l’incarico di corrispondente del giornale, dopo il mio trasferimento a Roma. La sua storia è nota in paese, forse lo è di meno ai concittadini che vivono in altre regioni o all’estero.
Di Michele e della sua vita sotto scorta parla un libro, intitolato ‘La ribellione di Michele Albanese’ che porta la firma della collega Gabriella D’Atri, giornalista della Rai di Cosenza e figlia d’arte, anche suo padre Vincenzo infatti lavorava alla Rai calabrese.
Il libro (Castelvecchi Editore, pagine 100, euro 13,50) è stato pubblicato alla fine del 2021, chi fosse interessato lo trova online all’indirizzo: https://www.ibs.it/ribellione-di-michele-albanese-libro-gabriella-d-atri/e/9788832905854 . Di seguito la recensione del volume pubblicata dall’Agenza Ansa nel dicembre scorso.
di Ezio De Domenico
La vita di Michele Albanese, giornalista “vero” che ha fatto del senso della giustizia e dell’impegno civile gli emblemi della sua vita, raccontata da Gabriella d’Atri in un libro che inaugura la collana “Sotto scorta”, edita da Castelvecchi e diretta dalla stessa d’Atri.
Albanese, 61 anni, é redattore del “Quotidiano del Sud” e collaboratore dell’Agenzia ANSA e de L’Espresso. Ha una profonda conoscenza della ‘ndrangheta della quale, in tantissimi articoli, ha descritto assetti organizzativi, organigrammi e capacità espansiva a livello nazionale ed internazionale.
Nessuno come lui, poi, conosce la situazione delle cosche in Calabria e nella provincia di Reggio, ed in particolare nella Piana di Gioia Tauro. E questo grazie alla sua professionalità ed alla molteplicità delle sue fonti, che per un cronista che voglia fare seriamente il suo mestiere rappresentano il patrimonio più importante.
Proprio questa competenza lo ha reso inviso alla ‘ndrangheta, sempre più potente e forte, tanto da renderla ormai l’organizzazione criminale più potente al mondo. E così. nel 2014, grazie all’impegno della Dda e della Squadra mobile di Reggio Calabria, viene scoperto un progetto di attentato ai suoi danni. Un progetto, purtroppo, “vero” e ben studiato. La Prefettura reggina, ritenendo sussistente una condizione di pericolo per Albanese, gli assegna una scorta, che da allora lo segue in tutti suoi spostamenti 24 ore su 24, ed un’automobile blindata.
Una situazione che, seppur difficile e limitativa della propria libertà personale, non ha condizionato il lavoro di Michele, che continua a svolgere la sua professione con risultati sempre importanti. Un esempio non soltanto per chi oggi si affaccia al lavoro del giornalista, ma per tutti gli operatori dell’informazione che credono realmente nel loro lavoro, non accontentandosi della “routine” quotidiana e delle semplici verità di facciata.
Tutto questo, ed anche più, viene raccontato da Gabriella d’Atri nel suo libro-intervista “La ribellione di Michele Albanese”. “Ho perso la libertà, ma non ho rimorsi. Rifarei tutto quello che ho fatto e ho scritto”, afferma Albanese nel libro-intervista, che contiene anche le testimonianze del Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, e di don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera contro le mafie.
“In Italia – scrive Gabriella d’Atri – ci sono circa 600 persone costrette a vivere sotto scorta. Magistrati titolari di inchieste delicatissime, imprenditori che non si sono piegati a richieste estorsive o condizionamenti da parte della criminalità organizzata, politici e giornalisti che hanno raccontato senza filtri la realtà delle cose e scomode verità. Tutti loro meriterebbero di avere voce”. La collana di Castelvecchi editore intende raccoglierne, comunque, alcune tra le più significative.
“Chi si addentrerà nella vicenda di Michele Albanese – scrive nella prefazione del volume Carlo Verna – provi ad immaginare che cosa possa significare da un momento all’altro dover completamente cambiare vita perché già sono pronte azioni finalizzate a toglierla. Con grande clamore, non con un killer solitario, ma con un’esplosione che suoni come un fragoroso avvertimento a chi volesse imitarne le gesta professionali. Invece no. Michele Albanese e la sua famiglia hanno accettato la situazione e hanno cominciato a convivere col problema. Michele non ha rinunciato a battersi per i valori della sua professione e per la
sua terra, che non ha voluto lasciare accontentandosi dello scampato pericolo. Un grazie per questo potranno dirglielo solo i calabresi. Io posso farlo invece per conto della categoria, esaltata da storie come quella che racconta Gabriella d’Atri”.