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C’è stato un tempo in cui la vita politica cittadina si svolgeva più nelle sedi degli artigiani che altrove. Le persone si ritrovavano per parlare e dibattere animatamente di politica. Come racconta in questo articolo il medico storico Francesco Tropeano, il diffondersi delle idee socialiste e comuniste contagiò gli ambienti di lavoro in paese, che alla fine dell’Ottocento erano sostanzialmente due, cioè le campagne e le botteghe degli artigiani (sartorie, calzolai, barbieri ecc.).
A quel tempo a Cinquefrondi non mancano le teste calde, quelli cioè che non si accontentano di discutere di politica e propagandare idee nuove ma vogliono fare la rivoluzione e cambiare il mondo a modo loro. Alcuni di questi preoccupavano le autorità del tempo, in Italia e all’estero (nei paesi di emigrzione) nel timore che potessero compiere qualche gesto di contestazione violenta, perciò erano tenuti in qualche modo sotto controllo. Ecco le storie di alcuni di loro.
di Francesco Tropeano
Tra la fine dell’ottocento e i primi anni del novecento le nostre campagne si svuotarono di giovani. La vita nei terreni degli agrari era durissima e non aveva prospettive. I contadini erano in una condizione da medioevo. Abitavano con le loro famiglie in piccoli pagliai disadorni. Spesso, nelle compravendite di terreni tra latifondisti, erano “venduti” insieme alle vacche ed alle capre. Ma, sempre più prepotentemente, si affacciavano all’orizzonte idee e culture che influenzavano le classi più giovani e davano la forza di superare quell’acquiescente rassegnazione che aveva costretto i loro avi ad una vita da servi della gleba. L’esodo dalle campagne di tutti questi giovani costituì un’ondata migratoria senza precedenti.
Le mete più gettonate erano gli Stati Uniti e l’America meridionale. Una parte minore, soprattutto giovanissimi si riversò nelle botteghe artigiane del paese. Una sartoria poteva arrivare addirittura a 10-15 apprendisti. Si beveva dal “burrone”, una specie di gozza, ma con due bocche laterali, una bocca più larga per riempire d’acqua ed una più sottile e sporgente (piscialoru) da dove si poteva bere senza poggiare le labbra. La prima prova che dovevano superare gli apprendisti era proprio questa : dopo essere andati a riempire il burrone alla fontana pubblica ( compito precipuo dei “discipuli” più giovani), dovevano provare a bere senza poggiare la bocca e soprattutto senza bagnarsi.
Ogni apprendista si portava la sedia da casa , non sempre c’era posto all’interno della bottega, allora ci si sedeva fuori dal “basso” ai lati della strada e si stava in attesa che il mastro insegnasse i primi rudimenti del mestiere ed assegnasse i primi facili compiti. I discipuli venivano ricompensati con una povera mancia nelle feste comandate e qualche volta anche la domenica o nei periodi di vacche grasse, quando c’erano matrimoni o quando ritornavano per qualche settimana gli emigrati, i quali, anche per dimostrare che avevano fatto fortuna, spendevano più facilmente dei paesani. Quando tornavano però gli emigrati non portavano solo soldi, ma anche idee ed epici racconti di dure lotte sociali. Questi racconti non venivano fatti tra i pagliai dove avevano lasciato i loro padri, ma venivano socializzati nelle botteghe artigiane, in un dialetto già corrotto da parole straniere e lasciando a bocca aperta gli imberbi apprendisti che erano affascinati da quei mondi lontani.
Quindi il fenomeno dell’emigrazione dei primi del novecento, da fenomeno sociale diventa per molti calabresi anche un’avventura politica ideologicamente estrema, che farà loro conoscere anche le galere estere. Oscar Greco e Katia Massara dell’Unical hanno compiuto uno studio molto dettagliato e certosino sull’argomento. Hanno sintetizzato questo studio nel volume “Rivoluzionari e migranti. Dizionario biografico degli anarchici calabresi”.
Tra i 20 cittadini di Cinquefrondi, schedati come sovversivi nel casellario nazionale di polizia, desecretato per i primi 50 anni del novecento, vi sono diversi emigrati che hanno un denso curriculum di agitatori politici nei paesi dove risiedevano e lavoravano. Vediamo qualche esempio. Ovviamente sono biografie da mattinale di questura, ma le fonti sono, quasi sempre, le loro schede segnaletiche, non solo italiane.
CONDÒ Giuseppe (alias Josè Martine) – Nasce a Cinquefrondi (Rc) l’11 ottobre 1884 da Francesco e Rosa Sorrenti, calzolaio. Intorno al 1899 emigra in Argentina e si stabilisce a Buenos Aires, dove svolge attività anarchica con lo pseudonimo di José Martine. Durante le agitazioni operaie scoppiate nella capitale nel 1903 ferisce con una pugnalata un agente di polizia. Viene quindi arrestato, ma, essendo riconosciuto malato di mente, viene ricoverato in manicomio e riesce a fuggire.
Ritornato nuovamente a Buenos Aires, Condò continua a mantenere relazioni segrete con i compagni di fede nonostante la sorveglianza della polizia. Tuttavia nel 1911 è arrestato assieme ai connazionali Alfredo Polonio e Antonio Meloni perché coinvolto nella manipolazione di esplosivi e nella fabbricazione di carta moneta falsa. il Ministero dell’Interno argentino ne decreta l’espulsione, che avviene il 20 settembre 1912. Giunto a Cinquefrondi, Condò espatria nuovamente senza passaporto nella primavera successiva, raggiungendo New York nel maggio 1913. Di lì a poco si stabilisce a Flushing, dove acquista e gestisce una calzoleria. Pur astenendosi dallo svolgere palesemente attività e propaganda sovversiva, nel 1934 il suo nominativo compare in un elenco di anarchici residenti negli Stati Uniti inviato dalla polizia inglese a quella francese in occasione del matrimonio del duca di Kent.
CONDOLUCI Domenico Antonio – Nasce a Cinquefrondi (Rc) il 13 marzo 1892 da Vincenzo e Carmela Sorrenti, falegname. Emigra in Argentina nell’ottobre 1908 e dopo un paio d’anni viene segnalato dal Consolato generale d’Italia a Buenos Aires – dove risiede – come appartenente al gruppo anarchico “Il Ribelle”. Condoluci era entrato nel movimento assieme ai compaesani Vincenzo Carrera e Michele Condò – entrambi calzolai – e Vincenzo Gallo, carpentiere, anch’essi emigrati in Argentina. I quattro calabresi erano ben presto divenuti fautori della Scuola Moderna di Francisco Ferrer. In una minuta del 20 marzo 1911 diretta al Ministero dell’Interno, il console infatti, riferendosi a loro, scrive: «Fanatici di Ferrer, furono di quelli che più accolsero ed accolgono il proposito di vendicarne la morte, e con le oblazioni e con la propaganda addimostrano la necessità di attuare le finalità della Scuola Moderna. Ed una Scuola moderna intenderanno istituire in patria, anche per tentare di far penetrare le idee libertarie nell’ambiente, piuttosto arretrato, dei luoghi di origine. Siccome sono individui poco conosciuti, è opportuno che la vigilanza sul conto di essi sia esercitata in maniera riservata…». Nell’aprile successivo, effettivamente, Condoluci, Gallo e Carrera tornano a Cinquefrondi. In quell’occasione Condoluci, proprio per non insospettire le autorità, non prende parte alle manifestazioni del 1° maggio, ma nell’autunno successivo è sorpreso a raccogliere firme per un circolo socialista assieme a Giuseppe Condò. L’8 febbraio 1913 riparte per Buenos Aires.
BELLOCCO Giuseppe – Nasce a Cinquefrondi (RC) il 4 ottobre 1886 da Francesco e Maria Angela Borgiomi, calzolaio. Emigra in Argentina nel 1905 e si stabilisce a Buenos Aires, dove qualche anno dopo viene arrestato per avere preso parte alle dimostrazioni anarchiche e allo sciopero generale dei primi di maggio del 1909. Rimesso in libertà, ritorna definitivamente al paese d’origine nel 1922.
Il Supplemento dei sovversivi. In questo numero veniva segnalato il cinquefrondese Alì Santoro – Quindi le botteghe artigiane erano una finestra sul mondo, la sede di un infinito talk show (altro che maratona-mentana !): ci passavano gli emigrati politicizzati, i confinati politici comunisti, gli anarchici, i socialisti. Un lungo interminabile dibattito, si snodava in quei bassi, quasi sempre un dibattito a senso unico e con svolta obbligatoria a sinistra. Gli artigiani, coltissimi autodidatti, costituirono il ceto medio del tempo e la fucina politico-culturale per lunghi anni a venire. Sopportarono il fascismo, che non ebbe mai un reale radicamento popolare, e caratterizzarono il paese rispetto ai comuni vicini.
Come accennato in precedenza, molti di questi artigiani erano schedati nel Casellario Politico Nazionale come pericolosi sovversivi da spiare e controllare. Durante il fascismo, Il casellario veniva periodicamente aggiornato con un bollettino ad hoc del Ministero degli Interni : il “Supplemento dei sovversivi”. Ho stilato un elenco sinottico dei “sovversivi” cinquefrondesi schedati a livello nazionale; ho messo anche i riferimenti archivistici, se qualcuno, magari riconoscendo un suo avo, volesse approfondirne le loro biografie.
NOME | ANNO NASCITA | PROFESSIONE | AREA POLITICA | RIF. ARCHIVIO |
Alì Santoro Arcangelo | 1903 | vetturino | Socialista | Busta 66 |
Bellocco Giuseppe | 1886 | calzolaio | anarchico | Busta 462 |
Carrara Joe | 1905 | nd | anarchico | Busta 1112 |
Carrera Giuseppe | 1891 | calzolaio | anarchico | Busta 1114 |
Carrera Michele Giuseppe | 1899 | bracciante | anarchico | Busta 1114 |
Carrera Raffaele | 1883 | falegname | socialista | Busta 1114 |
Ciccia Domenico | 1898 | falegname | socialista | Busta 1333 |
Ciminello Domenico Antonio | 1871 | contadino | antifascista | Busta 1345 |
Illeggibile | x | x | anarchico | Busta 1352 |
Condò Giuseppe | 1884 | calzolaio | anarchico | Busta 1437 |
Condò Michele | 1880 | calzolaio | socialista | Busta 1437 |
Condoluci Domenico Antonio | 1892 | falegname | anarchico | Busta 1437 |
Creazzo Pasquale | 1875 | pittore | socialista | Busta 1525 |
Fazari Domenico | 1882 | Fabbro ferraio | anarchico | Busta 1982 |
Gallo Vincenzo | 1891 | Falegname – negozio calzature | anarchico | Busta 2257 |
Larosa Francesco Raffaele | 1890 | muratore | socialista | Busta 2725 |
Mezzatesta Domenico | 1895 | manovale | comunista | Busta 3258 |
Napoli Vincenzo | 1896 | barbiere | antifascista | Busta 3486 |
Primerano Giuseppe | 1861 | operaio | antifascista | Busta 4129 |
Pronestì Fiore Domenico | 1878 | calzolaio | comunista | Busta 4140 |
Varamo Luigi | 1864 | parroco | antifascista | Busta 5324 |
Mastro Mico di Ciccia, artista e sovversivo (!) – Ovviamente non erano solo questi i cosiddetti sovversivi a Cinquefrondi, esistevano liste ed elenchi ben più numerosi a livello locale, alla questura di Reggio e presso la caserma dei carabinieri. Ma questi elenchi ovviamente non sono consultabili. Sta di fatto che, quando c’erano manifestazioni fasciste in paese, i carabinieri prelevavano all’alba, dalle loro case, i più noti appartenenti alla sinistra. Così i fratelli Longo Elia, il mastro Ciccio Ferraro , il coriaro Bellocco insieme ad altri compagni, venivano portati in caserma e trattenuti fino al tramonto. Era un metodo, molto arbitrario e certamente autoritario, per prevenire eventuali contestazioni e susseguenti disordini. Un metodo comunque abbastanza efficace . Infatti se quella famosa mattina Pasqualino Creazzo non se ne fosse andato nottetempo in montagna, per procurarsi il posto migliore per cacciare qualche marvizza, sarebbe stato portato in caserma e si sarebbe risparmiato il timpuluni, con relativo rotolamento del cappello sul corso, in pieno stile cinematografico da realismo sovietico.
Tuttavia quando, subito dopo la liberazione, ci furono dei procedimenti giudiziari contro alcuni gerarchi fascisti, quest’ultimi chiamarono, paradossalmente e furbescamente , come testimoni a difesa, molti di questi artigiani, fra cui un calzolaio socialista mio vicino di casa. Uno di quelli che veniva prelevato all’alba, in caso di manifestazioni di regime, anche se non era nella lista del Casellario nazionale. Un giorno mi mostrò la convocazione dei carabinieri proprio per questa testimonianza. “Mastru, e voi cosa avete testimoniato?” Gli chiesi incuriosito. Lui fece spallucce e fu molto laconico : “E che dovevo dire? E’ stato un periodo di fame e di guerra. Era meglio chiuderlo così, senza ulteriori strascichi e vendette”. Di fatto i sovversivi salvarono i fascisti, con tanto di verbali scritti, testimoniando anche il falso o almeno minimizzando alcuni comportamenti autoritari comunque passibili di rilievo penale. Il patto dell’oblio era così stipulato. Iniziava dunque una nuova epoca.
Bella storia…
Rieccoli, gli anarchici. Costituiscono quasi la metà dell’elenco “sinottico” che Franco Tropeano ci presenta nel suo excursus storico sulla cellula sovversiva cincrundisa dei primi anni del ‘900. Senza frequentare scuole, senza possibilità economiche, senza mezzi e mobilità, Cincrundi sforna una decina di ribelli anarchici e altrettanti facenti parte di un bland rosso e rosso acceso. Degli anarchici alla Giuseppe Condò -seppur ci possa essere stata una tentazione o una devianza para delinquenziale nella grande Buenos Aires di quell’epoca -essa viene benevolmente derubricata ad anarchismo. Giuseppe Condò a vent’anni confezionava esplosivi e fabbricava banconote false, ma è pur vero che a trent’anni “avìa asserijàtu” dopo aver acquistato una calzoleria. Probabilmente dopo questo passo, che la proprietà fosse un furto e che, per principi comunardi, dovesse condividere il ricavato del suo lavoro lo convinceva sempre meno e quindi si acquietò. Franco è benevolo con tutti, generoso di aggettivi e superlativi,per cui se una persona colta è quella che sa di lingua italiana, di storia, di geografia, di latino, di filosofia, di chimica, di medicina, etc, gli artigiani cinquefrondesi per lui erano “coltissimi”, dunque un gradino più in alto rispetto ai colti. Ma torniamo agli anarchici, questi inguaribili sognatori di un mondo senza Dio, senza Stato, senza Patria, senza guerre, senza padroni, senza proprietà, senza ricchi, senza latifondisti, senza- senza- senza. Figure anche leggendarie, romantiche, bohemien. Liberi di esserlo ma totalmente impossibilitati dalla stessa ideologia anarchica a governare un paese, una regione, una Nazione. Troppo nichilisti, troppo individualisti, seppur comunardi, troppo iconoclasti. E poi, vituperati e repressi violentemente dai loro stessi alleati nella lotta ai regimi contro cui si sono rivoltati. E quanto, appunto, accadde in Spagna nella guerra civile del 1936-1939, è emblematico di quante ferocia furono vittime per mano dei comunisti. Palmiro Togliatti, esponente di spicco del regime di Stalin di quegli anni, fu tra quelli che assentì al massacro delle opposizioni anarchiche nella guerra di Spagna. In Catalogna nel maggio del 1937, gli anarchici detenevano il controllo degli operai e delle loro proteste. Fra loro c’era un noto anarchico italiano, Camillo Berneri e uno calabrese,di Briatico, Francesco Barbieri. Il 3 maggio del 1937 a Barcellona gli anarchici vennero attaccati dai miliziani stalinisti delle Guardie d’Assalto e dopo due giorni di scontri sulle strade di Barcellona restarono 50 morti e mille feriti. Fra i morti, Berneri e Barbieri. In quello stesso periodo le Brigate comuniste di Dimitrov fucilarono a Madrid 320 anarchici prigionieri nell’arena dei tori. Un mare di sangue verrà versato nei mesi successivi per mano stalinista contro anarchici e trotzkisti. L’AVANTI, organo dei socialisti italiani, il 19 settembre 1937 scrive: “La vita dei nostri compagni è tuttora in estremo pericolo. Per l’onore del proletariato bisogna salvarli” E il pericolo a cui si riferiva non era Franco, era Stalin. L’organo anarchico francese “Libertaire” il 16 settembre 1937 invita ad un grande comizio contro “la repressione in Spagna”. Sempre quella dei comunisti di Stalin. E aggiunge” …quotidianamente vengono perseguitati e assassinati anarchici e sindacalisti; è ora di finirla, è tempo di parlare contro i carnefici rossi di Valencia”. I carnefici rossi erano sempre loro, i comunisti di Stalin. Domando a Franco Tropeano se “i coltissimi artigiani” di Cincrundi ne erano a conoscenza. Agli anarco-comunisti che in Spagna spararono alla statua del Cristo e, nella loro furia atea e iconoclasta, uccisero 12 vescovi, 4.184 preti, 2.580 religiosi/e e profanato e distrutto ventimila Chiese, preferisco l’anarchismo cristiano – o il Cristianesimo anarchico- di Leone Tolstoj.
Caro Mimì, permettimi, prima di fare un appunto alle tue riflessioni, di ringraziare Rino non solo per il commento, ma anche per i suoi godibilissimi contributi fotografici alla storia di Cinquefrondi, che seguo con enorme piacere.
Vorrei chiarire che le biografie citate nell’ articolo riportano fedelmente dei rapporti di polizia e quindi i reati attribuiti sono di dubbia veridicità. A quei tempi l’arresto era facile e serviva più da controllo sociale che da repressione del crimine. Gli anarchici e i sovversivi cinquefrondesi erano indubbiamente coltissimi. Da emigrati scrissero la storia di quel periodo su decine e decine di giornali politici che si pubblicavano negli Stati Uniti e nel Sud America. Ed erano autodidatti perché erano poveri. Per quanto riguarda la Spagna vorrei sommessamente ricordare che la guerra civile fu scatenata dal golpe di Francisco Franco per ribaltare, con la violenza delle armi, il risultato elettorale che aveva visto trionfare il Fronte Popolare con una schiacciante vittoria. I morti della guerra scatenata da Franco, spalleggiato da Hitler e Mussolini, furono almeno 600 mila. L’ episodio di Guernica, un paesino di 5000 abitanti, è illuminante. L’ aviazione tedesca ed italiana bombardarono ferocemente la popolazione civile inerme causando 1654 morti. Quel chiechiello di Mussolini disse che era stato il vento. La barzelletta del secolo. Peccato che il suo amico tedesco, creatore della Luftwaffe, Hermann Göring, alla fine ammette: “Guernica è stato un terreno di prova per la Luftwaffe. È stata una vicenda spiacevole, d’accordo! Ma non potevamo fare altrimenti perché non avevamo un altro posto per sperimentare i nostri aeroplani”. Altro che Gaza.
Caro Franco, voglio essere indulgente, come ogni valutazione finale di una tragedia richiede. Non è sul numero dei morti del bombardamento di Guernica – stimato in 300 civili e non in oltre 1600- che è il dato su cui intendo soffermarmi o polemizzare. E neanche sui numeri delle vittime delle altre battaglie di quella guerra civile. La polemica e la contrapposizione sul fenomeno bellico e ideologico ha avuto senso fino a che nuovi fatti non si sono fatti conoscere nel mondo, più devastanti del comunismo o del fascismo.
Oggi tutto quanto su cui dibattiamo è storia tragica, ma passata, che magari ci coinvolge, ci appassiona fortemente e ci fa leggere in chiave troppo ideologica quelle pagine di storia. A mio avviso oggi il nemico è un altro, non è più il comunismo o il fascismo. Oggi il nemico si presenta sotto individuate spoglie e le sue vittime siamo in tanti e saranno le generazioni del futuro: è il capitalismo spudorato e l’usura, a cui la c.d. sinistra accorda il proprio consenso e la c.d. destra, prona a USA, Nato e ai suoi alleati tende ad asservire se stessa e i suoi adepti. Questo, caro Franco, a mio avviso è il nemico che anche la c.d. pandemia ha delegato a controllarci e schiavizzarci tutti, celebrando orge e profitti. E l’Italia, pura espressione geografica, sta accettando questo. Spostiamo l’asse e alziamo il livello di consapevolezza di quanto effettivamente sta accadendo, caro Franco. C’è chi ancora chi ci vuol far tornare alle barricate ideologiche per dividerci e imperare.
Ogni tanto ci cado anch’io nella tentazione.
Mannàja!