Questa notizia è stata letta 162 volte

Ci sono persone che quando passano nel mondo lasciano dietro di sè una scia luminosa. Non a tutti è concesso questo privilegio. Violetta Mammola lo ebbe. La sua fu un’esistenza breve ma intensa. Le sue tracce sono rimaste evidenti. Fu insegnante e educatrice, madre e moglie affettuosa, poetessa, scrittrice, saggista, donna curiosa, di mille letture e di mille pensieri, innamorata della Scuola,  fu al servizio della parrocchia e della diocesi di Oppido e per un brevissimo tempo si impegnò anche in politica. 

 

Violetta Mammola il giorno della laurea in Lettere Classiche all’Università di Messina

 

Visse brevemente e rapidamente, Violetta Mammola, nacque infatti il 6 maggio del 1948 e morì il 6 luglio del 2000. Cinquantadue anni tondi che però sembrano 80. Il suo curriculum ufficiale è scarno, si limita a dire che studiò lettere classiche e fu insegnante. Mai parole furono più insufficienti a disegnare il profilo di una persona vitalissima e dinamica. Violetta non fu una semplice laureata in lettere come ce ne sono tanti, lei incarnò dentro di sè il sogno della sapienza, della conoscenza e del Sapere, quello con la S maiuscola. 

Divorava i classici e li rileggeva, si alzava la mattina presto per poter leggere qualche pagina in più, prima che cominciasse la giornata di moglie madre e professoressa. Arrivava a scuola al mattino già ‘carica’ di letture e pensieri, di idee e spunti da proporre ai suoi alunni, che la ascoltavano affascinati, perchè sapeva sempre stuzzicare la loro curiosità. 

Non era una professoressa facile, in aula con lei regnavano ordine e silenzio, ma la sua severità non coincideva con la durezza, perchè nel rapporto con i ragazzi prevaleva sempre l’istinto della mamma, che accoglie e alleva, educa e vede sbocciare lentamente all’umanità quei fiori che sono i bambini. Più che altro Violetta non amava si perdesse tempo in cose futili o inutili e aveva un altissimo concetto della missione dell’insegnante. Proprio così, per lei insegnare era una missione assoluta, una scelta di vita e la scuola fu la sua seconda casa.    

Violetta Mammola con il marito, il dott. Paolo Scappatura

 

 

Violetta cercava nei racconti e nelle liriche dei grandi della letteratura risposte e illuminazioni di fronte alle domande eterne sul senso della vita e della morte, sull’amore e l’odio, sul presente e il passato, sui sentimenti. Non era una sognatrice, nè una musona, al contrario era sempre allegra e sorridente, e aveva un grande senso pratico. Si occupava con grande cura del marito Paolo Scappatura, di professione dentista, conosciuto a Messina negli anni dell’Università, e dei suoi tre figli Antonello Anselmo e Donata, poi correva a scuola tutti i giorni. Dava ripetizioni a casa. Scriveva libri e saggi, poesie e racconti brevi. Preparava conferenze e testi per convegni. Si impegnò in attività di catechismo per la prima comunione e nella diocesi. Fondò l’associazione culturale Musappe, fu perfino candidata a sindaco e fece anche in tempo a diventare consigliere comunale. Non un minuto del suo tempo andò buttato via. E non sapremo mai se fu così per il suo smisurato amore per la letteratura e la cultura, e per la società e i suoi simili, o perchè un angelo le avesse fatto intuire che il suo tempo sarebbe stato breve.

Violetta Mammola durante una cerimonia scolastica

Due importanti personaggi della nostra cittadina furono i suoi genitori: il padre Anselmo fu consigliere comunale socialista nel 1952, da tutti amichevolmente chiamato avvocato, era in realtà un professore di storia e filosofia al liceo scientifico di Cittanova, e aveva ereditato anche un discreto lotto di terreno proprio nella collinetta dove sorgeva la casa di famiglia, e dove oggi c’è il Rione Torre. La via stessa dove sorge la casa dei Mammola si chiama via Mammola, probabilmente in ricordo di una donazione di terreno al Comune effettuata in passato. 

La mamma si chiamava Antonietta, fu una storica maestra delle scuole elementari di Cinquefrondi, per decenni si prese cura dei bambini e quando necessario dava pure ripetizioni pomeridiane. Due persone gentili e garbate con tutti, e molto rispettate in paese, che facevano vita abbastanza riservata. La signora Antonietta era conosciuta da tutti, eppure molto raramente la si vedeva in giro. La coppia ebbe anche un altro figlio, Michele,  affermato cardiologo, molto noto nella zona.

Ma torniamo a Violetta, che già nel nome impostole dai genitori esprimeva una grande dolcezza. Ammirata dal lavoro della mamma, le venne quasi naturale percorrere la stessa strada professionale. Il liceo dopo le scuole medie, poi lettere classiche all’Università di Messina, quindi l’agognato insegnamento. Agognato non come punto d’arrivo per una sistemazione lavorativa ed economica, perchè a quel tempo i Mammola stavano bene economicamente e certo il loro tenore di vita non dipendeva dal posto nella scuola. No, agognato perchè il più grande desiderio di Violetta era quello di stare a contatto con i bambini e i ragazzi, di insegnare loro le cose previste dai programmi scolastici, certo, ma anche tutto il resto che devono sapere per affrontare bene la vita, il senso della famiglia e dell’amicizia, dell’onore e del rispetto del prossimo, la mitezza, la curiosità, il piacere della lettura. Tutti temi e valori mutuati dalla sua fede religiosa e da una insaziabile sete di conoscenza e senso della libertà. Questa giovane professoressa amava i suoi alunni, amava la scuola, fosse stato per lei ci avrebbe pure dormito fra i banchi. Esistono ancora insegnanti così ?  

 

Nella scuola cominciò con supplenze e incarichi annuali al Liceo Classico e allo Scientifico di Palmi, al classico di Cittanova e all’Istituto Magistrale di Polistena; poi, una volta vinto a Roma il concorso nazionale a cattedra per la scuola media statale, insegnò a Melicucco e a Cinquefrondi.

In lei si fondevano mirabilmente la figura della madre affettuosa e la donna di cultura. Non le bastava occuparsi delle cose materiali dei figli, su di loro anzi proiettava continuamente immagini e ricordi, favole e storie di paese, racconti fantasiosi e altri verosimili e ispirati da fatti veri. Nei suoi tantissimi scritti (qui ne citeremo solo alcuni) c’era sempre un pensiero per i figli e per il marito. A volte era diretto, altre volte camuffato. Ma non era sentimentalismo dolciastro: parlando a loro, pensando a loro, Violetta in realtà si rivolgeva a tutti i ragazzi del paese.

Un tema che ritorna sempre negli scritti della professoressa di Cinquefrondi è quello della memoria, quasi un’ossessione. Memoria del passato, certo, memoria soprattutto di chi siamo, da dove veniamo.  Memoria delle radici che legano le persone alla loro terra e ai loro simili, radici senza le quali ciascuno è un fuscello al vento. “Ricordare il passato è impegnarsi per il futuro” citava questa frase di Giovanni Paolo II per spiegare ciò che covava dentro. 

 

Nel romanzo, La Ruga dell’abate, con il pretesto di narrare le vicende di una coppia di cinquefrondesi racconta invece di una parte antica del paese, la stessa che dà il nome al libro. Un rione storico di Cinquefrondi, di cui ancora oggi si parla spesso. E da lì prende spunto per narrare  altri fatti del passato. Il libro venne pubblicato dal Centro Studi Musappe, una associazione da lei voluta e presieduta proprio per valorizzare, conoscere, studiare le cose cinquefrondesi d’altri tempi (e non solo), e anche per tramandarle, e custodirle.

 

 

                                                                           Violetta Mammola 

 

Il Musappe promosse altre iniziative pubbliche, di confronto, di ricerca, di studio, ad esempio sui Bronzi di Riace a Largo del Tocco con la partecipazione di vari ospiti importanti; e poi la celebrazione di una Messa in lingua greca davanti a ciò che restava dell’antichissimo convento di Sant’Elia e altro ancora. Tutti spunti per non perdere di vista  quel mondo lontano, dal quale ognuno di noi discende, e le cui tracce a volte frammentarie, a volte più consistenti sono giunte fino a noi ma rischiano di perdersi, di evaporare nella confusione odierna che consuma tutto rapidamente. 

Con tutte queste iniziative e con il Centro Stud, oltre al recupero del passato, Violetta aveva anche altro in testa: “finalmente le cronache parlano del nostro paese come terra di cultura, come lo è stata nel passato e non di luogo di piccola e grande criminalità” disse e scrisse, orgogliosa.

 

Alla saggistica pura, e in qualche modo alla sociologia e al suo lavoro di insegnante, appartiene invece ‘Per ricordare Sara’. Non è una storia vera e propria, ma una serie di storie con riflessioni sul tema droga. Sara è un nome inventato di una ragazza probabilmente reale, una studentessa alle prese con cose più grandi di lei e spaventose.  Violetta dedica a tutte le ragazze il suo appassionato grido di amore materno, “state lontani dalla droga, la droga vi uccide”. E lo fa non con una predica noiosa, ma trasformando il tema in un romanzo breve. Conosce i giovani, avverte il disagio e le fragilità che ci sono in loro, con il baratro della droga sempre incombente. Così cerca una via di comunicazione alternativa alla predica inconcludente, scende sul terreno comunicativo dei giovani, parla con loro, parla come loro. 

 

La giornata di Violetta era lunghissima. La professoressa infatti era impegnatissima anche sul fronte sociale e ecclesiale. Fu per diversi anni catechista in parrocchia a Cinquefrondi, componente del consiglio pastorale cinquefrondese e di quello diocesano. Fece a lungo parte anche dell’Uciim di Oppido, l’associazione diocesana degli insegnanti cattolici. Nel 1994 il parroco don Serafino Avenoso le chiese di tenere una conferenza in chiesa sul tema ‘La famiglia ieri e oggi‘, un testo che poi è stato anche pubblicato e diffuso. Parole meravigliose di sapienza materna e di fede cristiana limpida: “la famiglia è seme di accoglienza, seme di solidarietà, seme di educazione, seme di perdono”, scriveva Violetta. 

 

Per sottolineare l’importanza del matrimonio cristiano, la professoressa sottolineava  anche una cosa che si tende a dimenticare: “Al principio della vita pubblica Gesù partecipò ad un banchetto di nozze nella città di Cana in Galilea. Fu lì che, pregato dalla sua Mamma, compì il primo miracolo e fu lì che anche elevò il contratto di matrimonio alla dignità di sacramento con la sua presenza”. Per Violetta la famiglia è “il crocevia nodale da cui si irradia l’evangelizzazione non solo alla comunità cristiana, ma anche alla comnità civile, e proprio in quest’ultima essa agirà con mentalità di accoglienza verso l’altro, perchè venga proclamata la solidarietà, l’altruismo e la giustizia”. E, citando San Giovanni Della Croce,  la poetessa Mammola ricordava che “alla fine della vita saremo giudicati sul’amore”.

 

Nel saggio “Torna a Musappe” (con prefazione del vescovo di Oppido mons. Domenico Crusco), Violetta smette i panni della sociologa e veste quelli della saggista e storica,  compie un viaggio con i figli nell’anima di Cinquefrondi, attraversando i sentimenti più cari ai  concittadini. Lo spunto è la festa di san Michele, il patrono del paese, l’arcangelo che schiaccia il drago, il bene contro il male, lo spiega per prima alla figlioletta Donata, e il racconto di questa festa ai suoi bambini è un espediente letterario efficacissimo per entrare nei segreti della cinquefrondesità e trasmetterla ai ragazzi.  

 

In Torna a Musappe c’è la festa con le luminarie di Micuccio Cuiuli, il mercato degli animali, le bancarelle per ogni dove, i mostaccioli, le giostre. E quel santo bellissimo, opera dell’artista del catanzarese Vincenzo Scrivo che lavorò su incarico dell’antenato Michele Mammola, sta lì a rimarcare l’incrocio fra le generazioni e il rinnovarsi delle stesse, i nomi che ricorrono e ritornano nell’eterno rinnovarsi della vita. 

Quella di san Michele per Violetta non è solo una statua nella quale si venera il santo, ma un pezzo della propria storia familiare intrecciata con quella dei cinquefrondesi. Come non raccontarle queste cose ai ragazzi, ai propri ragazzi ?  Violetta lo fa senza farne una pedante omelia, ma con la leggerezza del suo narrare. E suscita domande e curiosità in quei bambini affamati di sapienza che sgranano gli occhi ascoltando di quella statua costruita altrove, portata a Cinquefrondi su un carro trainato dai buoi. E donata da un uomo a cui l’antenato chirurgo aveva reso un grande servigio, salvandolo dalla cecità. 

 

Nella primavera del 2000 la poetessa rallentò per qualche mese le sue attività letterarie, perchè fu  candidata a sindaco con una coalizione ispirata dal maggior partito della sinistra, il Pci che a quel tempo però si chiamava Ds. Fu una scelta improvvisa, per molti di sicuro anche inattesa. Fra i tanti impegni pubblici  di Violetta, infatti, non si era mai palesato quello in politica. Tantopiù che erano tempi di polemiche ruvide e fortissimi scontri ideologici di piazza. Che c’azzeccava la gentile Violetta con quel mondo ? 

Eppure la sua apparizione sulla scena politica fu accolta positivamente, la sua figura di donna nuova nell’ambiente politico, colta e perbene, appassionata delle vicende storiche e culturali paesane ne faceva una buona outsider rispetto ai concorrenti, un segnale quantomeno di tentata innovazione. 

 

Quell’anno per la carica di sindaco di Cinquefrondi si scontrarono tre candidati: il prof. Michele Galimi a capo di una lista civica di sinistra, che poi vinse diventando sindaco con 1455 voti, l’avv. Francesco Raschellà sostenuto dalla Dc che prese 1356 voti e arrivò secondo e infine la professoressa Mammola, che prese 1125 voti. Violetta divenne consigliera comunale e comunque, pur perdendo la gara a sindaco, ebbe un’ottima affermazione, se si considera che in vita sua non si era mai occupata di politica.  

 

Purtroppo nello stesso periodo della campagna elettorale la professoressa accusò qualche disturbo di salute, le sue condizioni cominciarono a vacillare e improvvisamente la giovane donna morì. Non ebbe nemmeno il tempo di scendere nel dettaglio del suo nuovo impegno. Per onorare questa brillante signora e anche il suo seppur breve e incompiuto percorso politico, anni dopo le venne intitolata la Sala del Consiglio Comunale. Alla Scuola Media Statale di Melicucco le è stata invece dedicata la biblioteca.  

 

                                    Violetta Mammola il giorno della prima comunione

 

I  familiari di Violetta conservano ancora le lettere di tutte le biblioteche scolastiche della zona che la ringraziano per i libri ricevuti in omaggio. Sul tema libri va aperto un capitolo a parte: la professoressa cinquefrondese ha pubblicato negli anni tanti volumi, ma li editava lei stessa e non li metteva in commercio. Nella sua produzione l’argomento ‘vendite’ non esisteva, Violetta scriveva per il gusto di scrivere e non per vendere i libri. Li stampava a sue spese in una tipografia della zona ( a volte a Polistena, altre a Gioia Tauro) e poi li donava generosamente alle scuole e agli studenti, a chi glieli chiedeva, oppure in qualche caso li offriva per raccolte di  beneficenza. Una vera signora. 

 

Nello stesso anno in cui Violetta morì, il 2000,  uscì la raccolta di poesie intitolata “Profumo di viole”  un delicato collage di liriche dall’argomento più vario.  Anche qui tornano il tema della memoria e dei ricordi, i pensieri sull’autunno della vita, un forte senso di nostalgia. C’è spazio anche per versi struggenti sulla solitudine. La poesia che apre la raccolta si intitola ‘Sereni ricordi d’infanzia‘. In essa si legge:

Tra le pause del vento / suoni emergono / lontani, / vanno, vengono; / lontane memorie, / nell’oscurità luminosa / che cede al buio / luminoso notturno. / Di materna malinconia /  veli colorati / di tenero azzurro / striato d’argento / nell’aria recano / profumo di viole, / carezze ormai spente / di mani delicate.

Particolarmente carica dell’esistenzialismo che ha sempre pervaso la vita e l’opera della poetessa è la lirica ‘Vento d’autunno‘:

Nel mondo sconosciuto / di cadute foglie / miriadi siamo / portate lontano / dall’autunnale vento,/ alla ricerca / di qual senso / ha la vita./ Corriamo/ nuvole bianche, nere / serene, tempestose/ senza sosta, delle case / la fugacità tocchiamo / l’accidentato percorso / accettando / come sassi e radici / trascinati dall’acqua / che poco s’increspa. 

 

Il tema del senso della vita e del nascere e morire affiorava sempre negli scritti e nelle conferenze di Violetta, lei nel suo libro forse più bello (intitolato “Messaggi sussurrati“) arrivò a definirsi una ‘vagabonda dell’anima’. Riconosceva la sua fragilità, il suo essere nulla di fronte all’infinito, la sua ricerca continua di un approdo esistenziale, l’interrogativo continuo sulla morte. 

 

Nell’introduzione l’autrice scrive il suo testamento spirituale (il libro è del 1997, dunque tre anni prima della sua morte): ” Perchè ‘messaggi sussurrati ? Chi lascia un messaggio pensa di dover comunicare qualcosa d’importante; chi ascolta parole sussurrate deve fare più attenzione a recepirle, perciò il loro significato non sfugge, rimane impresso e spinge a porsi domande. L’intenzione di chi scrive è sempre buona, vuole lasciare qualcosa di sè agli altri, nel caso di questa raccolta di poesia, l’intento è quello di offrire ai miei figli ciò che io penso, ciò che mi appare in questa paurosa, frastornata  vigilia di fine secolo. Il mio desiderio più vivo è spingerli a riflettere che tra la conoscenza delle cose e la comprensione delle stesse c’è un sentiero segreto che ognuno deve scoprire e percorrere prima di diventare amico di sè stesso, per imparare l’arte di gioire delle piccole cose ed essere felice e sapere così comunicare anhe agli altri l’arte della felicità. Grazie Antonello, Anselmo e Donata perchè dal vostro amore e dalla vostra gioia ho attinto la forza di scrivere e diventare una vagabonda dell’anima”.

In questa raccolta di tenerissime liriche che Violetta dedicò ai suoi tre figli  si coglie anche quella che appare come una sofferta ma inequivocabile profezia della sua morte. La poesia s’intitola La vita, ecco le sue parole:

Il viaggio, / lungo o breve che sia,/ comincia col primo vagito. / Continua…Continua / E salgono su quel treno / quanti volti nuovi ! / Spesso a cercare ti metti / lo sguardo di chi conosci , / ma ad ogni fermata / quanti sono scesi ! / Guardi con segreto timore, / speri che la prossima sosta / non sia proprio quella / dove dovrai veder scendere / chi molto ami. / Il viaggio procede…/ …chi può fermarlo ? / La tua sofferenza / nel veder scendere/ la tua gioia festosa, / nel vedere salire / altre persone compagne / non può fermarlo ! / Pure per te/ il momento verrà / della temuta discesa. / Sereno scendi, / se lasciato avrai / buono il ricordo /nei tanti compagni / di viaggio / che la corsa continuano. 

 

Nella poesia Vendemmia la vita paragona la vendemmia all’autunno della vita e al momento di fare i conti con quel che è stato:

Della vendemmia la stagione / giunge al fine il momento / nella vita di ogni uomo. / Del veloce passare dei giorni / raccogliere or deve i frutti. / Di riempir la cesta / è necessario. / Impegni disattesi, / speranze disilluse, amori sbocciati / tristemente sfioriti, / sorrisi non dati, / aiuti rifiutati: / questi frutti non buoni / se gran spazio riempiono / intristiscono il cuore, / inaridiscono la fugace vita. 

Il tema della fine ricorre ancora in Scampolo di fine stagione, versi di grande tristezza benchè pieni di orgoglio, in cui la poetessa sembra parlare di sè a sè stessa: 

Scampolo di fine stagione / la mia vita ecco cos’è, / al sole estivo steso / in mezzo a tant’altri / scampoli cupi e ridenti. / Del mio voglio approfittare / luminoso tagliando un vestito.

Questa bellissima raccolta di liriche si conclude con Fine del viaggio, in cui il viaggio è naturalmente quello della vita, e pure qui si ripropone lo sguardo attento e timoroso sul dopo:

Giungeranno all’altra riva / le barche sconquassate / della vita di ogni uomo. / Un tragitto lungo/ faticoso, periglioso / percorreranno. / Quale aiuto mai / ai remi pesanti / giungerà sospirato ? / La forza instancabile / delle proprie braccia, / il desiderio fermo / di lottare per sopravvivere / sembrerà allora / unico, valido sostegno. / Giunto alla meta, / ogni uomo / sarà atteso / da Chi silenzioso / accanto gli è stato / coraggio infondendo. / A Lui, con volto lieto, / sicuri tendiamo le mani, / offriamo un dolce sorriso. 

La professoressa Violetta Mammola per la sua produzione letteraria ha avuto riconoscimenti anche post- mortem da parte di Associazioni prestigiose come la Mimosa d’argento alla memoria 2005 con l’associazione culturale Anassilaos e il Comune di Reggio Calabria. Ma al di là dei riconoscimenti letterari, resta meravigliosa la sua figura di donna di cultura e di madre, di professoressa e di moglie, di catechista e di cinquefrondese innamorata della sua terra e curiosa e attenta al suo destino e al destino di tutti.

 

Non è possibile copiare il contenuto di questa pagina.